Massime

 

Massime Corte d'Appello SCV

 

Causa N. 54/1996 - 28 maggio 1997 - 7 agosto 1997, S.E. Pompedda Pres., Bruno Rel.*

Ruolo APSA - Presupposti.

Rinuncia volontaria - Trasferimento - Distinta configurabilità.

Provvedimento Capo Dicastero - Operatività APSA - Ruolo APSA.

Provvedimento discrezionale dell'Amministrazione - Tempestività impugnazione

Rimessione dei termini - Errore scusabile e forza maggiore - Condizioni - Provvedimento autoritativo - Decisione discrezionale dell'Amministrazione.

Diritti soggettivi - Prescrizione quinquennale - Irrilevanza rimessione termini.

« L'appartenenza ai ruoli organici dell'APSA, come di un qualsiasi altro Dicastero, Ente o Istituzione della Curia Romana, trova unica ed esclusiva motivazione nel "collegamento" instaurato dai rapporti di lavoro e funzionale collaborazione esistente tra il dipendente e la Santa Sede datrice di lavoro e pertanto, ove tale presupposto venga a cessare, nessun significato obiettivo o motivazione giuridica avrebbe la permanenza di un soggetto nel ruolo di qualsiasi Amministrazione ».

Rinunciare volontariamente al proprio ufficio significa decidere di interrompere in modo definitivo ogni rapporto di natura personale, amministrativa e patrimoniale con l'Amministrazione datrice di lavoro e non può mai configurarsi o confondersi, nei presupposti e negli effetti, con un'istanza o richiesta di trasferimento ad altro incarico «ad libitum proprium» come si può chiaramente dedurre dagli artt. 61 e 45 § 3 e dagli artt. 22 e 23 R.G.C.R.

Ogni provvedimento assunto dal Capo Dicastero deve ritenersi operante anche da parte dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica stante la permanenza nel ruolo della stessa.

Il provvedimento discrezionale ed autoritativo come tale deve essere tempestivamente impugnato.

La rimessione in termini, per errore scusabile o per forza maggiore, consente la rimessione degli stessi, una volta scaduti, per proporre il ricorso innanzi al Direttore Generale dell'ULSA solo allorché si controverta in ordine alla lesione di una situazione giuridica determinata da un provvedimento amministrativo avente carattere autoritativo e quindi attuativo di una decisione discrezionale dell'Amministrazione e cioè allorché si sia in presenza di decadenze, nelle quali appunto si incorre tutte le volte che, senza giustificazione, non viene impugnata la decisione amministrativa che, facendo esercizio dei propri poteri discrezionali, sacrifica posizioni soggettive ed interessi del dipendente.

Qualora il provvedimento amministrativo (ovvero il silenzio-rigetto dell'amministrazione) si limiti ad esternare il rifiuto a pretese del dipendente fondate su diritti soggettivi (come ad esempio diritti patrimoniali acquisiti nel rapporto di lavoro) che non possono essere incisi da provvedimenti discrezionali, al suddetto provvedimento (che si estrinseca non sul piano autoritativo ma su quello negoziale paritetico) non consegue, per sua natura, alcuna decadenza in ordine all'esercizio del diritto che può essere fatto valere innanzi all'ULSA nel termine prescrizionale di cinque anni (che può essere naturalmente interrotto con idonei atti di messa in mora) come previsto dall'art. 10.10 dello Statuto dell'ULSA.

La richiesta all'Amministrazione di adempimento in ordine a diritti soggettivi non incisi da provvedimenti autoritativi, può essere reiterata e, pertanto, non avrebbe significato la rimessione in termini, potendosi sempre avanzare una nuova richiesta in assenza di un giudicato nel merito.
[Dep. 30 giugno 1997]
* Cfr. decisione del Collegio di conciliazione e arbitrato ULSA n. 6/96