Massime

Massime Corte d'Appello SCV

 

Causa N. 61/1997 — 22 luglio 1998 — 8 aprile 1999, S.E. Pompedda Pres., Giacobbe Rel. (conferma decisione del Collegio di conciliazione e arbitrato n. 2/97)

Tardiva costituzione — Preclusione — Eccezioni in senso stretto. Ammissibilità del ricorso — Rilevabilità d'ufficio.

Formazione del giudicato — Configurabilità — Limiti.

Diritto naturale — Magistero Pontificio — Ambito di incidenza.

Mancata impugnativa nei termini del provvedimento di silenzio-rigetto — Preclusione di far valere il diritto — Decadenza.

Valutazione meramente ipotetica — Irrilevanza.

La tardività della costituzione in giudizio della parte resistente preclude che questa ultima possa sollevare eccezioni in senso stretto, vale a dire eccezioni non rilevabili di ufficio. L'ammissibilità del ricorso, invece, attenendo ai presupposti per la legittima instaurazione del procedimento, rientra tra le questioni che sono rilevabili di ufficio e, pertanto, la tardività della costituzione della parte resistente, che tale inammissibilità abbia sollevato, non produce effetti preclusivi.

La formazione del giudicato opera attraverso il diretto collegamento tra il dispositivo e la motivazione, nel senso che la definitività della decisione opera nei limiti di quanto disposto dal giudice in relazione ai motivi che sorreggono la decisione stessa. Ne deriva che le argomentazioni introduttive rilevano esclusivamente al fine di comprendere il significato della decisione impugnata, ma non assumono autonoma rilevanza, ai fini della formazione del giudicato.

Soprattutto per quanto attiene alle norme procedimentali, i principi di diritto naturale e l'insegnamento del Magistero Pontificio possono essere richiamati esclusivamente come criterio guida dell'attività ermeneutica delle norme positive. Non possono, invece, essere assunti come fonte alternativa rispetto al diritto positivo. Ciò perché i principi di diritto naturale e l'insegnamento Pontificio, prevalentemente se non esclusivamente, hanno come destinatario il Legislatore positivo, il quale a quei principi deve dare applicazione.

Anche prima dell'istituzione dell' ULSA, l'art. 15 della legge fondamentale n. 1 del 1929 prevedeva una tutela per la lesione dei diritti soggettivi lesi, onde v'è decadenza per la mancata impugnazione nei termini del provvedimento amministrativo, anche se di silenzio-rigetto ed anche se si è formato prima del 1989.

La constatazione che, nell'ipotesi in cui non si fosse verificata decadenza, avrebbe potuto essere accertata una violazione di diritti, quando è fatta esclusivamente al fine di determinare il regime delle spese di giudizio, non è contraddittoria e, quindi, non consente di prospettare una violazione di legge.

 

 

Causa N. 62/1998 — 14 dicembre 1998 — 9 luglio 1999, S.E. Pompedda  Pres., Bruno Rel. (annulla decisione del Collegio di conciliazione e arbitrato n. 1/98)

Ricorso per legittimità — Configurazione.

Atto Amministrativo — Configurazione. Segreteria di Stato — Consultazione — Esigenze di ordine generale. Impugnativa — Atto — Presupposti. Art. 120 R.G.C.R. del 1992 — Ambito di applicazione.

Prescrizione — Eccezione tardiva.

Collegio di conciliazione e arbitrato dell'ULSA e Corte di Appello dello SCV — Compiti ermeneutici e limiti. — Mancanza di normativa positiva — Mancanza di riconoscimento di diritti.

In sede di giudizio di legittimità ex art. 12 dello Statuto dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, la decisione del Collegio di conciliazione e arbitrato può essere riesaminata anche sul merito al fine di accertare eventuali vizi di motivazione che configurano violazione di legge.

Il provvedimento, per essere lesivo di un diritto, deve esprimere la volontà dell'Amministrazione che lo ha emanato in ordine a diritti, esistenti o vantati. Ne consegue che non costituisce provvedimento l'atto con il quale si informano i dipendenti che le loro richieste sono state sottoposte all'esame degli organi competenti; ciò anche perché, nonostante la competenza primaria di decisione spetti all'Amministrazione datrice di lavoro, ragioni di carattere generale possono richiedere la previa consultazione della Segreteria di Stato, al fine di evitare decisioni che potrebbero rivelarsi in contrasto con esigenze complessive. Ne consegue che un'informazione che abbia il contenuto di cui ora si è detto, non può essere considerata un provvedimento e, quindi, non può formare oggetto di una impugnativa con l'ulteriore conseguenza che la mancanza di quest'ultima non determina decadenze. Del resto, nel caso di specie, l'esistenza di una decadenza è stata legittimamente negata mediante un'applicazione analogica dell'art. 120 del R.G.C.R. del 1992. Disposizione questa che, sebbene non possa essere applicata “stricto sensu” all'Amministrazione convenuta consente, in via generale, che un'Amministrazione, in presenza di particolari motivi o circostanze, possa rinviare un suo provvedimento o una sua decisione.

L'eccezione di prescrizione è tardiva quando è contenuta nelle deduzioni, previste dalla lettera a) del n. 5 dell'art. 11 dello Statuto dell'ULSA, ma queste non sono state depositate nei termini, e cioè al momento della costituzione in giudizio. Né tale difetto può considerarsi sanato dal richiamo fatto all'art. 2110 del Codice Civile italiano del 1865 (applicabile nello Stato della Città del Vaticano, per il disposto dell'art. 3 della legge del 7 giugno 1929, n. II) in quanto detto articolo non rientra fra le norme espressamente richiamate nell'art. 11, n. 5, lett. b) dello Statuto dell'ULSA e, sebbene preveda la possibilità di opporre la prescrizione anche in appello, non può essere applicato contro le decisioni del Collegio dell'ULSA, avverso le quali non è previsto l'appello, ma soltanto un ricorso per legittimità.

Il Collegio di conciliazione e arbitrato dell'ULSA non può sostituirsi al Legislatore e colmare eventuali o supposte lacune di legge, individuando criteri di decisione nell'insegnamento del Sommo Pontefice in materia sociale. Il compito di quel Collegio, infatti, è quello di applicare e di interpretare la legge e non già quello di creare un nuovo sistema normativo sostanzialmente inaffidabile sul piano della certezza. L'altissimo insegnamento del Sommo Pontefice non può essere disatteso, nel suo significato morale, anche per quanto riguarda i rapporti di lavoro dei dipendenti della Sede Apostolica, degli enti ad essa collegati, come pure dello Stato della Città del Vaticano. Senonché, ciò non significa possa presumersi che la normativa di quei rapporti, positivamente stabilita, si ponga in contrasto con quell'insegnamento, né che quest'ultimo possa supplire all'assenza di una normativa. (Nel caso di specie, ritenuto che il Collegio di conciliazione e arbitrato abbia fatto riferimento agli insegnamenti Pontifici per pervenire ad una soluzione equitativa di plausibili e moralmente fondate aspettative, è stato auspicato che la competente Autorità trovi, tramite un autonomo e discrezionale intervento, una soluzione di equità che soddisfi quelle aspettative).

 

 

Causa n. 53/1996 — 24 gennaio 1998 — 16 luglio 1999, S.E. Pompedda Pres. e Rel. (annulla decisione parziale del Collegio di conciliazione e arbitrato n. 5/96)

Legittimazione attiva. Competenza ULSA — Delimitazioni — Presupposti.

Potere di accertamento — Organo giurisdizionale.

Questioni pregiudiziali o incidentali.

La competenza dell'ULSA non ha carattere generale e non si estende a tutto ciò che ha riguardo al lavoro, ma è limitata alla tutela dei diritti, eventualmente lesi, dei soggetti qualificati come dipendenti dell'Amministrazione (art. 2.2, 1° cpv dello Statuto dell'ULSA). Ne consegue che quella competenza non sussiste quando la qualifica di dipendente, pur esistendo un valido rapporto, è stata acquisita apparentemente ovvero è oggetto di una pretesa e, quindi, di controversia (cfr. art. 11.5 Statuto ULSA). Lo specifico ordinamento giuridico in cui sorge e vive il rapporto di lavoro intercorrente tra l'Amministrazione e il dipendente impone di configurare il “lavoro prestato” in piena aderenza a quell'ordinamento e, quindi, quando quel rapporto sia stato costituito secondo le tabelle organiche e le normative rispettive dei singoli Enti o Amministrazioni.

L'accertamento dell'esistenza di un rapporto giuridico, quale quello del rapporto di lavoro fra Amministrazione (datore di lavoro) e dipendente (lavoratore), non è di competenza dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, ma esclusivamente dell'organo giurisdizionale preposto all'accertamento dell'esistenza o meno di un fatto giuridico, e conseguentemente dell'autorità giudiziaria.

La decisione delle questioni pregiudiziali o incidentali e, quindi, anche dell'esistenza di un rapporto di lavoro, è riconosciuta al Collegio di conciliazione e arbitrato (art. 11, lett. g, Statuto ULSA), secondo il principio che ogni organo giudicante è prima di tutto giudice della propria giurisdizione e competenza, e, quindi, anche dell'esistenza di un rapporto di lavoro. Quella decisione, però, non preclude la contemporanea instaurazione di un giudizio in sede ordinaria per l'accertamento, con efficacia di giudicato, della giurisdizione o competenza del Collegio di conciliazione e arbitrato dell'ULSA. Ne deriva che è illegittima la decisione con la quale il Collegio di conciliazione e arbitrato ha dichiarato, in modo effettivo e formale, la propria competenza in merito all'accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro.