Omelie e Meditazioni

OMELIE

 

GIORNATA MONDIALE DEI POVERI
SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, 15 novembre 2020

 

La parabola che abbiamo ascoltato ha un inizio, un centro e una fine, che illuminano l’inizio, il centro e la fine della nostra vita.

 

L’inizio. Tutto comincia da un grande bene: il padrone non tiene per sé le sue ricchezze, ma le dà ai servi; a chi cinque, a chi due, a chi un talento, «secondo la capacità di ciascuno» (Mt 25,15). È stato calcolato che un solo talento corrispondeva al salario di circa vent’anni di lavoro: era un bene sovrabbondante, che allora bastava per tutta la vita. Ecco l’inizio: anche per noi tutto è cominciato con la grazia di Dio – tutto, sempre, incomincia con la grazia, non con le nostre forze – con la grazia di Dio che è Padre e ha messo nelle nostre mani tanto bene, affidando a ciascuno talenti diversi. Siamo portatori di una grande ricchezza, che non dipende da quante cose abbiamo, ma da quello che siamo: dalla vita ricevuta, dal bene che c’è in noi, dalla bellezza insopprimibile di cui Dio ci ha dotati, perché siamo a sua immagine, ognuno di noi è prezioso ai suoi occhi, ognuno di noi è unico e insostituibile nella storia! Così ci guarda Dio, così ci sente Dio.

 

Quant’è importante ricordare questo: troppe volte, guardando alla nostra vita, vediamo solo quello che ci manca e ci lamentiamo di quello che ci manca. Allora cediamo alla tentazione del “magari!...”: magari avessi quel lavoro, magari avessi quella casa, magari avessi soldi e successo, magari non avessi quel problema, magari avessi persone migliori attorno a me!… Ma l’illusione del “magari” ci impedisce di vedere il bene e ci fa dimenticare i talenti che abbiamo. Sì, tu non hai quello, ma hai questo, e il “magari” fa sì che dimentichiamo questo. Ma Dio ce li ha affidati perché conosce ognuno di noi e sa di cosa siamo capaci; si fida di noi, nonostante le nostre fragilità. Si fida anche di quel servo che nasconderà il talento: Dio spera che, malgrado le sue paure, anche lui utilizzi bene quanto ha ricevuto. Insomma, il Signore ci chiede di impegnare il tempo presente senza nostalgie per il passato, ma nell’attesa operosa del suo ritorno. Quella brutta nostalgia, che è come un umore giallo, un umore nero che avvelena l’anima e la fa guardare sempre indietro, sempre agli altri, ma mai alle proprie mani, alle possibilità di lavoro che il Signore ci ha dato, alle nostre condizioni…, anche alle nostre povertà.

 

Arriviamo così al centro della parabola: è l’opera dei servi, cioè il servizio. Il servizio è anche la nostra opera, quello che fa fruttare i talenti e dà senso alla vita: non serve infatti per vivere chi non vive per servire. Dobbiamo ripetere questo, ripeterlo tanto: non serve per vivere chi non vive per servire. Dobbiamo meditare questo: non serve per vivere chi non vive per servire. Ma qual è lo stile del servizio? Nel Vangelo i servi bravi sono quelli che rischiano. Non sono cauti e guardinghi, non conservano quel che hanno ricevuto, ma lo impiegano. Perché il bene, se non si investe, si perde; perché la grandezza della nostra vita non dipende da quanto mettiamo da parte, ma da quanto frutto portiamo. Quanta gente passa la vita solo ad accumulare, pensando a stare bene più che a fare del bene. Ma com’è vuota una vita che insegue i bisogni, senza guardare a chi ha bisogno! Se abbiamo dei doni, è per essere noi doni per gli altri. E qui, fratelli e sorelle, ci facciamo la domanda: io seguo i bisogni, soltanto, o sono capace di guardare a chi ha bisogno? A chi è nel bisogno? La mia mano è così [la stende aperta] o così [la ritrae chiusa]?

 

Va sottolineato che i servi che investono, che rischiano, per quattro volte sono chiamati «fedeli» (vv. 21.23). Per il Vangelo non c’è fedeltà senza rischio. “Ma, padre, essere cristiano significa rischiare?” – “Sì, caro o cara, rischiare. Se tu non rischi, finirai come il terzo [servo]: sotterrando le tue capacità, le tue ricchezze spirituali, materiali, tutto”. Rischiare: non c’è fedeltà senza rischio. Essere fedeli a Dio è spendere la vita, è lasciarsi sconvolgere i piani dal servizio. “Io ho questo piano, ma se servo…”. Lascia che si sconvolga il piano, tu servi. È triste quando un cristiano gioca sulla difensiva, attaccandosi solo all’osservanza delle regole e al rispetto dei comandamenti. Quei cristiani “misurati” che mai fanno un passo fuori dalle regole, mai, perché hanno paura del rischio. E questi, permettetemi l’immagine, questi che si prendono cura così di sé stessi da non rischiare mai, questi incominciano nella vita un processo di mummificazione dell’anima, e finiscono mummie. Questo non basta, non basta osservare le regole; la fedeltà a Gesù non è solo non commettere errori, è negativo, questo. Così pensava il servo pigro della parabola: privo di iniziativa e creatività, si nasconde dietro un’inutile paura e seppellisce il talento ricevuto. Il padrone lo definisce addirittura «malvagio» (v. 26). Eppure non ha fatto nulla di male! Già, ma non ha fatto niente di bene. Ha preferito peccare di omissione piuttosto che rischiare di sbagliare. Non è stato fedele a Dio, che ama spendersi; e gli ha recato l’offesa peggiore: restituirgli il dono ricevuto. “Tu mi hai dato questo, io ti do questo”, niente di più. Il Signore ci invita invece a metterci in gioco generosamente, a vincere il timore con il coraggio dell’amore, a superare la passività che diventa complicità. Oggi, in questi tempi di incertezza, in questi tempi di fragilità, non sprechiamo la vita pensando solo a noi stessi, con quell’atteggiamento dell’indifferenza. Non illudiamoci dicendo: «C’è pace e sicurezza!» (1 Ts 5,3). San Paolo ci invita a guardare in faccia la realtà, a non lasciarci contagiare dall’indifferenza.

 

Come dunque servire secondo i desideri di Dio? Il padrone lo spiega al servo infedele: «Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse» (v. 27). Chi sono per noi questi “banchieri”, in grado di procurare un interesse duraturo? Sono i poveri. Non dimenticate: i poveri sono al centro del Vangelo; il Vangelo non si capisce senza i poveri. I poveri sono nella stessa personalità di Gesù, che essendo ricco annientò sé stesso, si è fatto povero, si è fatto peccato, la povertà più brutta. I poveri ci garantiscono una rendita eterna e già ora ci permettono di arricchirci nell’amore. Perché la più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore. La più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore. Il Libro dei Proverbi loda una donna operosa nell’amore, il cui valore è superiore alle perle; è da imitare questa donna che, dice il testo, «stende la mano al povero» (Pr 31,20): questa è la grande ricchezza di questa donna. Tendi la mano a chi ha bisogno, anziché pretendere quello che ti manca: così moltiplicherai i talenti che hai ricevuto.

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MEDITAZIONI

 

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

La vera pace si semina nel cuore

Giovedì, 9 gennaio 2020


Non si può «essere cristiani» se si è «seminatori di guerra» in famiglia, nel quartiere, sul posto di lavoro: «Che il Signore ci dia lo Spirito Santo per rimanere in Lui e ci insegni ad amare, semplicemente, senza fare la guerra agli altri». È stata questa la preghiera del Papa nell’omelia della messa di giovedì 9 gennaio a Casa Santa Marta.
Ricordando l’orazione di inizio liturgia, con l’invocazione a Dio di concedere a «tutte le genti» una «pace sicura», il pensiero di Francesco è corso all’oggi. «Quando noi parliamo di pace, subito — ha affermato — pensiamo alle guerre, che nel mondo non ci siano le guerre, che ci sia la pace sicura, è l’immagine che ci viene sempre, pace e non guerre, ma sempre fuori: in quel Paese, in quella situazione... Anche in questi giorni che ci sono stati tanti fuochi di guerra accesi, la mente va subito lì quando parliamo di pace, [quando preghiamo che] il Signore ci dia la pace. E questo sta bene; e dobbiamo pregare per la pace del mondo, dobbiamo sempre avere davanti questo dono di Dio che è la pace e chiederlo per tutti».
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«Dove c’è il Signore — ha messo in luce — c’è la pace. È Lui che fa la pace, è lo Spirito Santo che Lui invia a fare la pace dentro di noi. Se noi rimaniamo nel Signore il nostro cuore sarà in pace; e se noi rimaniamo abitualmente nel Signore quando noi scivoliamo su un peccato o un difetto sarà lo Spirito a farci conoscere questo errore, questa scivolata. Rimanere nel Signore. E come rimaniamo nel Signore? Dice l’Apostolo: “Se ci amiamo gli uni gli altri”. È questa la domanda, questo è il segreto della pace».
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Francesco ha parlato di amore «vero», non — ha ribadito — quello delle «telenovele», da «spettacolo», bensì quello che spinge a parlare «bene» degli altri: altrimenti, ha detto, «se non posso parlare bene chiudo la bocca», non sparlo e non racconto «cose brutte». Perché «sparlare e spellare gli altri» è «guerra». L’amore, sottolinea, «si fa vedere nelle piccole cose», perché «se c’è la guerra nel mio cuore — ha rimarcato — ci sarà la guerra nella mia famiglia, ci sarà la guerra nel mio quartiere e ci sarà la guerra nel posto di lavoro». Le «gelosie», le invidie, le chiacchiere, ha proseguito, ci portano a fare la guerra l’uno con l’altro, «distruggono», sono come «delle sporcizie». L’invito del Papa è ancora una volta a riflettere su quante volte si parli «con spirito di pace» e quante «con spirito di guerra», su quante volte si sia capaci di dire: «Ognuno ha i suoi peccati, io guardo i miei e gli altri avranno» i loro, così da chiudere «la bocca».
«Abitualmente — ha notato il Pontefice — il nostro modo di agire in famiglia, nel quartiere, nel posto di lavoro è un modo di agire di guerra: distruggere l’altro, sporcare l’altro. E questo non è amore, questa non è la pace sicura che abbiamo chiesto nella preghiera. Quando noi facciamo questo non c’è lo Spirito Santo. E questo succede a ognuno di noi, ognuno. Subito viene la reazione di condannare l’altro. Sia un laico, una laica, un sacerdote, una religiosa, un vescovo, un Papa, tutti, tutti. È la tentazione del diavolo per fare la guerra».
E, ha proseguito Francesco, quando il diavolo riesce a farci fare la guerra e accende quel «fuoco», «è contento, non ha più da lavorare»: «siamo noi a lavorare per distruggerci l’un l’altro», «siamo noi a portare avanti la guerra, la distruzione», distruggendo «prima» noi stessi, «perché togliamo fuori l’amore», e poi gli altri. Il Papa ha notato come in effetti si sia «dipendenti da questa abitudine di sporcare gli altri»: è un «seme — dice — che il diavolo ha messo dentro di noi». La preghiera finale è dunque ancora per una pace sicura, che è «dono dello Spirito Santo», cercando di rimanere nel Signore. 

 

*da: www.osservatoreromano.va
 L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLX, n.6, 10/01/2020

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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Grati a Dio per i compagni di cammino nella vita
Venerdì, 14 febbraio 2020

 

Il calore di Casa Santa Marta, di una «famiglia larga» come la definisce il Papa, fatta di persone che «ci accompagnano nel cammino della vita», che ogni giorno vi lavorano, nel cuore del Vaticano, con dedizione e cura, che aiutano se una compagna è malata, provano tristezza se una di loro va via.

 

Volti, sorrisi, saluti: semi che si gettano nel cuore di ognuno. Francesco, nella messa celebrata venerdì mattina, 14 febbraio, ha preso spunto dal pensionamento di una dipendente, Patrizia, per fare «atto di memoria, di ringraziamento» e anche di scuse nei confronti di chi «ci accompagna nel cammino».

 

È stata un’omelia che ha raccontato la quotidianità di Casa Santa Marta, la dimora scelta dal Pontefice, che ha voluto soffermarsi sulla famiglia, non solo «papà, mamma, fratelli, zii, nonni» ma «la famiglia larga», cioè «coloro che ci accompagnano nel cammino della vita per un po’ di tempo».

 

Il Pontefice ha spiegato che, dopo 40 anni di lavoro, Patrizia va in pensione; una presenza di famiglia su cui soffermarsi. «E questo — ha sottolineato — farà bene a tutti noi che abitiamo qui: pensare a questa famiglia che ci accompagna; e a tutti voi, che non abitate qui. Pensare a tanta gente che vi accompagna nel cammino della vita: vicini, amici, compagni di lavoro, di studio... Noi non siamo soli. Il Signore ci vuole popolo, ci vuole in compagnia; non ci vuole egoisti: l’egoismo è un peccato».

 

Nella sua riflessione, Francesco ha ricordato la generosità di tante compagne di lavoro che si sono prese cura di chi si è ammalato. Dietro ogni nome, una presenza, una storia, una permanenza anche breve ma che ha lasciato il segno. Una familiarità che ha trovato spazio nel cuore del Papa. «Penso a Luisa, penso a Cristina», ha affermato il Pontefice, alla nonna di casa, suor Maria, entrata a lavorare giovane e che decise di consacrarsi.

 

E nel ricordare la sua famiglia «larga», il Pontefice ha avuto un pensiero anche per chi non c’è più: come «Miriam, che se n’è andata con il bambino; Elvira, che è stata un esempio di lotta per la vita, fino alla fine». E poi altri ancora, che sono andati in pensione o a lavorare altrove. Presenze che a volte si fa fatica a lasciare. «Oggi — ha detto — farà bene a tutti noi pensare alla gente che ci ha accompagnato nel cammino della vita, come gratitudine, e anche come un gesto di gratitudine a Dio. Grazie, Signore — è stata la sua preghiera — per non averci lasciati da soli. È vero, sempre ci sono dei problemi, e dove c’è gente ci sono delle chiacchiere. Anche qui dentro. Si prega e si chiacchiera, ambedue le cose. E anche, alcune volte, si pecca contro la carità».

 

Peccare, perdere la pazienza e poi chiedere scusa. Si fa così in famiglia. «Io vorrei ringraziare per la pazienza delle persone che ci accompagnano — ha affermato il Papa — e chiedere scusa per le nostre mancanze». Ecco allora che, ha osservato, «oggi è un giorno per ringraziare e chiedere scusa, dal cuore, ognuno di noi, alle persone che ci accompagnano nella vita, per un pezzo della vita, per tutta la vita... E vorrei approfittare di questo congedo di Patrizia — ha concluso Francesco — per fare con voi questo atto di memoria, di ringraziamento, e anche di chiedere scusa alle persone che ci accompagnano. Ognuno di noi lo faccia con le persone che abitualmente lo accompagnano. E a coloro che lavorano qui a casa, un grazie grande grande grande. E a lei, Patrizia, che incominci questa seconda parte della vita, altri 40 anni!».

 

*da: www.osservatoreromano.va 

L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLX, n. 37, 15/02/2020

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CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA
 
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
"Rivolgersi al Signore con la nostra verità"
Domenica, 15 marzo 2020

 

Parole all’inizio della Messa

 

Questa domenica di Quaresima tutti insieme preghiamo per gli ammalati, per le persone che soffrono. E oggi vorrei fare con tutti voi una preghiera speciale per le persone che con il loro lavoro garantiscono il funzionamento della società: i lavoratori delle farmacie, dei supermercati, dei trasporti, i poliziotti... Preghiamo per tutti coloro che stanno lavorando perché in questo momento la vita sociale, la vita della città, possa andare avanti.

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CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
"Chiedere perdono implica perdonare"
Martedì, 17 marzo 2020

 

Introduzione alla Messa

 

Vorrei che oggi pregassimo per gli anziani che soffrono questo momento in modo speciale, con una solitudine interiore molto grande e alle volte con tanta paura. Preghiamo il Signore perché sia vicino ai nostri nonni, alle nostre nonne, a tutti gli anziani e dia loro forza. Loro ci hanno dato la saggezza, la vita, la storia. Anche noi siamo vicini a loro con la preghiera.

 

Omelia

 

Gesù viene dal fare una catechesi sull’unità dei fratelli e l’ha conclusa con una bella parola: “Vi assicuro che se due di voi, due o tre, si metteranno d’accordo e chiederanno una grazia, sarà loro concessa” (cfr Mt 18,19). L’unità, l’amicizia, la pace tra i fratelli attira la benevolenza di Dio. E Pietro fa la domanda: “Sì, ma alle persone che ci offendono, cosa dobbiamo fare?”. «Se mio fratello commette colpe contro di me – mi offende – quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (v. 21). E Gesù rispose con quella parola che vuol dire, nel loro idioma, “sempre”: «Settanta volte sette» (v. 22). Sempre si deve perdonare.

 

E non è facile, perdonare. Perché il nostro cuore egoista è sempre attaccato all’odio, alle vendette, ai rancori. Tutti abbiamo visto famiglie distrutte dagli odi familiari che si rimandano da una all’altra generazione. Fratelli che, davanti alla bara di uno dei genitori, non si salutano perché portano avanti rancori vecchi. Sembra che sia più forte l’attaccarsi all’odio che all’amore e questo è proprio il “tesoro” – diciamo così – del diavolo. Lui si accovaccia sempre tra i nostri rancori, tra i nostri odi e li fa crescere, li mantiene lì per distruggere. Distruggere tutto. E tante volte, per cose piccole, distrugge.

(…)

 

C’è gente che vive condannando gente, parlando male della gente, sporcando continuamente i compagni di lavoro, sporcando i vicini, i parenti… Perché non perdonano una cosa che hanno fatto a loro, o non perdonano una cosa che a loro non è piaciuta. Sembra che la ricchezza propria del diavolo sia questa: seminare l’amore al non-perdonare, vivere attaccati al non-perdonare. E il perdono è condizione per entrare in cielo.

 

La parabola che Gesù ci racconta (cfr Mt 18,23-35) è molto chiara: perdonare. Che il Signore ci insegni questa saggezza del perdono, che non è facile. E facciamo una cosa: quando noi andremo a confessarci, a ricevere il sacramento della Riconciliazione, prima chiediamoci: “Io perdono?”. Se sento che non perdono, non devo fare finta di chiedere perdono, perché non sarò perdonato. Chiedere perdono significa perdonare. Sono insieme, ambedue. Non possono separarsi. E coloro che chiedono perdono per sé stessi, come questo signore al quale il padrone perdona tutto, ma non danno perdono agli altri, finiranno come questo signore (cfr vv. 32-34). «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore ciascuno al proprio fratello» (v. 35).

 

Che il Signore ci aiuti a capire questo e ad abbassare la testa, a non essere superbi, a essere magnanimi nel perdono. Almeno a perdonare “per interesse”. Come mai? Sì, perdonare, perché se io non perdono, non sarò perdonato. Almeno questo. Ma sempre il perdono.

 

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CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
"Conoscere i nostri idoli"
Giovedì, 26 marzo 2020

 

Introduzione alla Messa

 

In questi giorni di tanta sofferenza, c’è tanta paura. La paura degli anziani, che sono soli nelle case di riposo o in ospedale o a casa loro, e non sanno cosa possa accadere. La paura dei lavoratori senza lavoro fisso che pensano come dare da mangiare ai loro figli e vedono venire la fame. La paura di tanti servitori sociali che in questo momento aiutano a mandare avanti la società e possono prendere la malattia. Anche la paura – le paure – di ognuno di noi: ognuno sa quale sia la propria. Preghiamo il Signore perché ci aiuti ad avere fiducia e a tollerare e vincere le paure.

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CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
"Il popolo di Dio segue Gesù e non si stanca"

Sabato, 28 marzo 2020

 

Introduzione alla Messa

 

In questi giorni, in alcune parti del mondo, si sono evidenziate conseguenze – alcune conseguenze – della pandemia; una di quelle è la fame. Si incomincia a vedere gente che ha fame, perché non può lavorare, non aveva un lavoro fisso, e per tante circostanze. Incominciamo già a vedere il “dopo”, che verrà più tardi ma incomincia adesso. Preghiamo per le famiglie che incominciano a sentire il bisogno a causa della pandemia.

Omelia

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CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

"Gesù prega per noi davanti al Padre, mostrando le sue piaghe"
Giovedì, 23 aprile 2020


Introduzione

 

In tante parti si sente uno degli effetti di questa pandemia: tante famiglie che hanno bisogno, fanno la fame e purtroppo le “aiuta” il gruppo degli usurai. Questa è un’altra pandemia. La pandemia sociale: famiglie di gente che ha un lavoro giornaliero, o purtroppo un lavoro in nero, che non possono lavorare e non hanno da mangiare … con figli. E poi gli usurai prendono loro il poco che hanno. Preghiamo. Preghiamo per queste famiglie, per quei tanti bambini di queste famiglie, per la dignità di queste famiglie e preghiamo anche per gli usurai: che il Signore tocchi il loro cuore e si convertano.
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CELEBRAZIONE MATTUTINA DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
"Senza testimonianza e preghiera non si può fare predicazione apostolica"
Giovedì, 30 aprile 2020

 

Introduzione

 

Preghiamo oggi per i defunti, coloro che sono morti per la pandemia; e anche in modo speciale per i defunti – diciamo così – anonimi: abbiamo visto le fotografie delle fosse comuni. Tanti…

 

Omelia

 

«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre» (Gv 6,44). Gesù ricorda che anche i profeti avevano preannunciato questo: «E tutti saranno istruiti da Dio» (Gv 6,45). È Dio che attira alla conoscenza del Figlio. Senza questo, non si può conoscere Gesù. Sì, si può studiare, anche studiare la Bibbia, anche conoscere come è nato, cosa ha fatto, questo sì. Ma conoscerlo da dentro, conoscere il mistero di Cristo è soltanto per coloro che sono attirati dal Padre a questo.

(…)

E questo - che nessuno può conoscere Gesù senza che il Padre lo attiri (cfr v. 44) - questo è valido per il nostro apostolato, per la nostra missione apostolica come cristiani. Penso anche alle missioni. “Cosa vai a fare nelle missioni?” – “Io, a convertire la gente” – “Ma fermati, tu non convertirai nessuno! Sarà il Padre ad attirare quei cuori per riconoscere Gesù”. Andare in missione è dare testimonianza della propria fede; senza testimonianza non farai nulla. Andare in missione – e sono bravi i missionari! – non significa fare strutture grandi, cose…, e fermarsi così. No, le strutture devono essere testimonianze. Tu puoi fare una struttura ospedaliera, educativa di grande perfezione, di grande sviluppo, ma se una struttura è senza testimonianza cristiana, il tuo lavoro lì non sarà un lavoro di testimone, un lavoro di vera predicazione di Gesù: sarà una società di beneficenza, molto buona – molto buona! – ma niente di più.

 

Se io voglio andare in missione…, se io voglio andare in apostolato, devo andare con la disponibilità che il Padre attiri la gente a Gesù, e questo lo fa la testimonianza. Gesù stesso lo dice a Pietro, quando confessa che Lui è il Messia: “Tu sei beato, Simon Pietro, perché questo te lo ha rivelato il Padre” (cfr Mt 16,17). È il Padre che attira, e attira anche con la nostra testimonianza. “Io farò tante opere, qui, di qua, di là, di educazione, di questo, dell’altro…”, ma senza testimonianza sono cose buone, ma non sono l’annuncio del Vangelo, non sono posti che diano la possibilità che il Padre attiri alla conoscenza di Gesù (cfr Gv 6,44). Lavoro e testimonianza.

 

“Ma come posso fare perché il Padre si preoccupi di attirare quella gente?”. La preghiera. Questa è la preghiera per le missioni: pregare perché il Padre attiri la gente verso Gesù. Testimonianza e preghiera, vanno insieme. Senza testimonianza e preghiera non si può fare predicazione apostolica, non si può fare annuncio. Farai una bella predica morale, farai tante cose buone, tutte buone. Ma il Padre non avrà la possibilità di attirare la gente a Gesù. E questo è il centro: questo è il centro del nostro apostolato, che il Padre possa attirare la gente a Gesù (cfr Gv 6,44). La nostra testimonianza apre le porte alla gente e la nostra preghiera apre le porte al cuore del Padre perché attiri la gente. Testimonianza e preghiera. E questo non è soltanto per le missioni, è anche per il nostro lavoro come cristiani. Io do testimonianza di vita cristiana, davvero, con il mio stile di vita? Io prego perché il Padre attiri la gente verso Gesù?

 

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Chiediamo al Signore la grazia di vivere il nostro lavoro con testimonianza e con preghiera, perché Lui, il Padre, possa attirare la gente verso Gesù.

 

Preghiera per fare la comunione spirituale

 

Le persone che non possono fare la comunione, fanno la comunione spirituale:

 

Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altre. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio corpo. Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a te. Non permettere che mi abbia mai a separare da te.

 

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CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

"Il lavoro è la vocazione dell’uomo"
Venerdì, 1 maggio 2020


 

Introduzione

 

Oggi è la festa di San Giuseppe lavoratore, e la Giornata dei lavoratori. Preghiamo per tutti i lavoratori. Per tutti. Perché a nessuna persona manchi il lavoro e che tutti siano giustamente pagati e possano godere della dignità del lavoro e della bellezza del riposo.

 

Omelia

 

E Dio creò» (Gen 1,27). Un Creatore. Creò il mondo, creò l’uomo, e diede una missione all’uomo: gestire, lavorare, portar avanti il creato. E la parola lavoro è quella che usa la Bibbia per descrivere questa attività di Dio: «Portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro» (Gen 2,2). E consegna questa attività all’uomo: “Tu devi fare questo, custodire quello, quell’altro, tu devi lavorare per creare con me – è come se dicesse così – questo mondo, perché vada avanti” (cfr Gen 2,15.19-20). A tal punto che il lavoro non è che la continuazione del lavoro di Dio: il lavoro umano è la vocazione dell’uomo ricevuta da Dio alla fine della creazione dell’universo.

 

E il lavoro è quello che rende l’uomo simile a Dio, perché con il lavoro l’uomo è creatore, è capace di creare, di creare tante cose; anche di creare una famiglia per andare avanti. L’uomo è un creatore e crea con il lavoro. Questa è la vocazione. E dice la Bibbia che «Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31). Cioè, il lavoro ha dentro di sé una bontà e crea l’armonia delle cose – bellezza, bontà – e coinvolge l’uomo in tutto: nel suo pensiero, nel suo agire, tutto. L’uomo è coinvolto nel lavorare. È la prima vocazione dell’uomo: lavorare. E questo dà dignità all’uomo. La dignità che lo fa assomigliare a Dio. La dignità del lavoro.

 

Una volta, in una Caritas, a un uomo che non aveva lavoro e andava per cercare qualcosa per la famiglia, un dipendente della Caritas [ha dato qualcosa da mangiare] e ha detto: “Almeno lei può portare il pane a casa” – “Ma a me non basta questo, non è sufficiente”, è stata la risposta: “Io voglio guadagnare il pane per portarlo a casa”. Gli mancava la dignità, la dignità di “fare” il pane lui, con il suo lavoro, e portarlo a casa. La dignità del lavoro, che è tanto calpestata, purtroppo.

 

Nella storia abbiamo letto le brutalità che facevano con gli schiavi: li portavano dall’Africa in America – penso a quella storia che tocca la mia terra – e noi diciamo: “Quanta barbarie!”. Ma anche oggi ci sono tanti schiavi, tanti uomini e donne che non sono liberi di lavorare: sono costretti a lavorare per sopravvivere, niente di più. Sono schiavi: i lavori forzati… Ci sono lavori forzati, ingiusti, malpagati e che portano l’uomo a vivere con la dignità calpestata. Sono tanti, tanti nel mondo. Tanti. Nei giornali alcuni mesi fa abbiamo letto, in un Paese dell’Asia, come un signore aveva ucciso a bastonate un suo dipendente che guadagnava meno di mezzo dollaro al giorno, perché aveva fatto male una cosa. La schiavitù di oggi è la nostra “in-dignità”, perché toglie la dignità all’uomo, alla donna, a tutti noi. “No, io lavoro, io ho la mia dignità”. Sì, ma i tuoi fratelli, no. “Sì, Padre, è vero, ma questo, siccome è tanto lontano, a me fa fatica capirlo. Ma qui da noi…”. Anche qui, da noi. Qui, da noi. Pensa ai lavoratori, ai giornalieri, che tu fai lavorare per una retribuzione minima e non otto, ma dodici, quattordici ore al giorno: questo succede oggi, qui. In tutto il mondo, ma anche qui. Pensa alla domestica che non ha retribuzione giusta, che non ha assistenza sociale di sicurezza, che non ha capacità di pensione: questo non succede in Asia soltanto. Qui.

 

Ogni ingiustizia che si compie su una persona che lavora è calpestare la dignità umana; anche la dignità di quello che fa l’ingiustizia: si abbassa il livello e si finisce in quella tensione di dittatore-schiavo. Invece, la vocazione che ci dà Dio è tanto bella: creare, ri-creare, lavorare. Ma questo si può fare quando le condizioni sono giuste e si rispetta la dignità della persona.

 

Oggi ci uniamo a tanti uomini e donne, credenti e non credenti, che commemorano la Giornata del Lavoratore, la Giornata del Lavoro, per coloro che lottano per avere una giustizia nel lavoro, per coloro – bravi imprenditori – che portano avanti il lavoro con giustizia, anche se loro ci perdono. Due mesi fa ho sentito al telefono un imprenditore, qui, in Italia, che mi chiedeva di pregare per lui perché non voleva licenziare nessuno e ha detto così: “Perché licenziare uno di loro è licenziare me”. Questa coscienza di tanti imprenditori buoni, che custodiscono i lavoratori come se fossero figli. Preghiamo pure per loro. E chiediamo a San Giuseppe – con questa icona [una statua collocata vicino all’altare] tanto bella, con gli strumenti di lavoro in mano – che ci aiuti a lottare per la dignità del lavoro, perché ci sia il lavoro per tutti e che sia lavoro degno. Non lavoro di schiavo. Questa sia oggi la preghiera.

 

Preghiera per fare la comunione spirituale

 

Le persone che non possono fare la comunione sacramentale, fanno adesso la comunione spirituale:

 

Ai tuoi piedi, o mio Gesù, mi prostro e ti offro il pentimento del mio cuore contrito che si abissa nel suo nulla e nella tua santa presenza. Ti adoro nel Sacramento del tuo amore, l’ineffabile Eucaristia. Desidero riceverti nella povera dimora che ti offre il mio cuore. In attesa della felicità della comunione sacramentale, voglio possederti in spirito. Vieni a me, o mio Gesù, che io vengo da te. Possa il tuo amore infiammare tutto il mio essere per la vita e per la morte. Credo in te, spero in te, ti amo.

 

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CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
"Imparare a vivere i momenti di crisi"
Sabato, 2 maggio 2020


Introduzione

 

Preghiamo oggi per i governanti che hanno la responsabilità di prendersi cura dei loro popoli in questi momenti di crisi: capi di Stato, presidenti di governo, legislatori, sindaci, presidenti di regioni… Perché il Signore li aiuti e dia loro forza, perché il loro lavoro non è facile. E che quando ci siano differenze tra loro capiscano che, nei momenti di crisi, devono essere molto uniti per il bene del popolo, perché l’unità è superiore al conflitto.

 

Oggi, sabato 2 maggio, si uniscono a noi in preghiera 300 gruppi di preghiera che si chiamano i “madrugadores”, in spagnolo, cioè i “mattinieri”: quelli che si alzano presto per pregare, fanno una levataccia proprio, per la preghiera. Loro si uniscono oggi, in questo momento, a noi.

 

Omelia

 

La prima Lettura inizia: «In quei giorni la Chiesa era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva in numero» (At 9,31). Tempo di pace. E la Chiesa cresce. La Chiesa è tranquilla, ha il conforto dello Spirito Santo, è in consolazione. I tempi belli… Segue la guarigione di Enea, poi Pietro risuscita Gazzella, Tabità… cose che si fanno in pace.

 

Ma ci sono dei tempi non di pace, nella Chiesa primitiva: tempi di persecuzioni, tempi difficili, tempi che mettono in crisi i credenti. Tempi di crisi. E un tempo di crisi è quello che ci racconta oggi il Vangelo di Giovanni (cfr 6,60-69). Questo passo del Vangelo è la fine di tutta una sequela che incominciò con la moltiplicazione dei pani, quando volevano fare re Gesù, Gesù va a pregare, loro il giorno dopo non lo trovano, vanno a cercarlo, e Gesù li rimprovera che lo cercano perché dà da mangiare e non per le parole di vita eterna… E tutta quella storia finisce qui. Loro dicono: “Dacci di questo pane”, e Gesù spiega che il pane che darà è il proprio corpo e il proprio sangue.

 

«In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo avere ascoltato dissero: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”» (v. 60). Gesù aveva detto che chi non avesse mangiato il suo corpo e il suo sangue non avrebbe avuto la vita eterna. Gesù diceva anche: “Se voi mangiate il mio corpo e il mio sangue, risusciterete nell’ultimo giorno” (cfr v. 54). Queste le cose che diceva Gesù. «Questa parola è dura!» (v. 60) [pensano i discepoli]. “È troppo dura. Qualcosa qui non funziona. Quest’uomo è andato oltre i limiti”. E questo è un momento di crisi. C’erano momenti di pace e momenti di crisi. Gesù sapeva che i discepoli mormoravano. Qui c’è una distinzione tra i discepoli e gli apostoli: i discepoli erano quei 72 o più, gli apostoli erano i Dodici. «Gesù infatti sapeva fin dal principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito» (v. 64). E davanti a questa crisi, ricorda loro: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me se non gli è concesso dal Padre» (v. 65). Riprende a parlare di quell’essere attirati dal Padre: il Padre ci attira a Gesù. E questo è come si risolve la crisi.

 

E «da quel momento, molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui» (v. 66). Presero le distanze. “Quest’uomo è un po’ pericoloso, un po’… Ma queste dottrine… Sì, è un uomo buono, predica e guarisce, ma quando arriva a queste cose strane… Per favore, andiamocene” (cfr v. 66). E lo stesso hanno fatto i discepoli di Emmaus, la mattina della risurrezione: “Mah, sì, una cosa strana: le donne che dicono che il sepolcro… Ma questo puzza - dicevano - andiamocene presto perché verranno i soldati e ci crocifiggeranno” (cfr Lc 24,22-24). Lo stesso hanno fatto i soldati che custodivano il sepolcro: avevano visto la verità, ma poi hanno preferito vendere il loro segreto: “Stiamo sicuri: non ci mettiamo in queste storie, che sono pericolose” (cfr Mt 28,11-15).

 

Un momento di crisi è un momento di scelta, è un momento che ci mette davanti alle decisioni che dobbiamo prendere. Tutti, nella vita, abbiamo avuto e avremo momenti di crisi: crisi familiari, crisi matrimoniali, crisi sociali, crisi nel lavoro, tante crisi… Anche questa pandemia è un momento di crisi sociale.

 

Come reagire nel momento di crisi? «In quel momento, molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andarono più con lui» (v. 66). Gesù prende la decisione di interrogare gli apostoli: «Disse allora Gesù ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?”» (v. 67). Prendete una decisione. E Pietro fa la seconda confessione: «Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”» (vv. 68-69). Pietro confessa, a nome dei Dodici, che Gesù è il Santo di Dio, il Figlio di Dio. La prima confessione – “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo”– e subito dopo, quando Gesù incominciò a spiegare la passione che sarebbe venuta, lui lo ferma: “No, no, Signore, questo no!”, e Gesù lo rimprovera (cfr Mt 16,16-23). Ma Pietro è maturato un po’ e qui non rimprovera. Non capisce quello che Gesù dice, questo “mangiare la carne, bere il sangue” (cfr 6,54-56), non capisce, ma si fida del Maestro. Si fida. E fa questa seconda confessione: “Ma da chi andremo?, per favore, Tu hai parole di vita eterna” (cfr v. 68).

 

Questo aiuta, tutti noi, a vivere i momenti di crisi. Nella mia terra c’è un detto che dice: “Quando tu vai a cavallo e devi attraversare un fiume, per favore, non cambiare cavallo in mezzo al fiume”. Nei momenti di crisi, essere molto fermi nella convinzione della fede. Questi che se ne sono andati, “hanno cambiato cavallo”, hanno cercato un altro maestro che non fosse così “duro”, come dicevano a lui. Nel momento di crisi c’è la perseveranza, il silenzio; rimanere dove siamo, fermi. Non è il momento di fare dei cambiamenti. È il momento della fedeltà, della fedeltà a Dio, della fedeltà alle cose [decisioni] che noi abbiamo preso da prima. È anche il momento della conversione, perché questa fedeltà sì, ci ispirerà qualche cambiamento per il bene, non per allontanarci dal bene.

 

Momenti di pace e momenti di crisi. Noi cristiani dobbiamo imparare a gestire ambedue. Ambedue. Qualche padre spirituale dice che il momento di crisi è come passare per il fuoco per diventare forti. Che il Signore ci invii lo Spirito Santo per saper resistere alle tentazioni nei momenti di crisi, per sapere essere fedeli alle prime parole, con la speranza di vivere dopo i momenti di pace. Pensiamo alle nostre crisi: le crisi di famiglia, le crisi del quartiere, le crisi nel lavoro, le crisi sociali del mondo, del Paese… Tante crisi, tante crisi.

 

Che il Signore ci dia la forza – nei momenti di crisi – di non vendere la fede.

 

Preghiera per fare la comunione spirituale

 

Le persone che non possono comunicarsi, fanno adesso la comunione spirituale:

 

Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a te. Non permette che mi abbia mai a separare da te.

 

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CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA

DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
"Lo Spirito ci insegna ogni cosa, ci introduce nel mistero, ci fa ricordare e discernere"
Lunedì, 11 maggio 2020

 

Introduzione

 

Ci uniamo oggi ai fedeli di Termoli, nella festa dell’Invenzione del corpo di San Timoteo. In questi giorni tanta gente ha perso il lavoro; non sono stati riassunti, lavoravano in nero… Preghiamo per questi nostri fratelli e sorelle che soffrono questa mancanza di lavoro.

 

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CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
"Lo Spirito Santo ci ricorda l’accesso al Padre"
Domenica, 17 maggio 2020


Introduzione

 

Oggi la nostra preghiera è per tante persone che puliscono gli ospedali, le strade, che svuotano i bidoni della spazzatura, che vanno per le case a portare via la spazzatura: un lavoro che nessuno vede, ma è un lavoro che è necessario per sopravvivere. Che il Signore li benedica, li aiuti.

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