Udienze, Angelus e Saluti

UDIENZE

 

UDIENZA GENERALE
Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 6 maggio 2020


APPELLO

In occasione del 1° maggio, ho ricevuto diversi messaggi riferiti al mondo del lavoro e ai suoi problemi. In particolare, mi ha colpito quello dei braccianti agricoli, tra cui molti immigrati, che lavorano nelle campagne italiane. Purtroppo tante volte vengono duramente sfruttati. È vero che c’è crisi per tutti, ma la dignità delle persone va sempre rispettata. Perciò accolgo l’appello di questi lavoratori e di tutti i lavoratori sfruttati e invito a fare della crisi l’occasione per rimettere al centro la dignità della persona e la dignità del lavoro.

 

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UDIENZA GENERALE
Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 10 giugno 2020
Appello del Santo Padre

 

Venerdì prossimo, 12 giugno, si celebra la Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, un fenomeno che priva i bambini e le bambine della loro infanzia e che ne mette a repentaglio lo sviluppo integrale. Nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, in diversi Paesi molti bambini e ragazzi sono costretti a lavori inadeguati alla loro età, per aiutare le proprie famiglie in condizioni di estrema povertà. In non pochi casi si tratta di forme di schiavitù e di reclusione, con conseguenti sofferenze fisiche e psicologiche. Tutti noi siamo responsabili di questo.

 

Faccio appello alle istituzioni affinché pongano in essere ogni sforzo per proteggere i minori, colmando le lacune economiche e sociali che stanno alla base della dinamica distorta nella quale essi sono purtroppo coinvolti. I Bambini sono il futuro della famiglia umana: a tutti noi spetta il compito di favorirne la crescita, la salute e la serenità!

 

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UDIENZA GENERALE
Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 5 agosto 2020

 

Catechesi - “Guarire il mondo”: 1. Introduzione

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

 

La pandemia sta continuando a causare ferite profonde, smascherando le nostre vulnerabilità. Molti sono i defunti, moltissimi i malati, in tutti i continenti. Tante persone e tante famiglie vivono un tempo di incertezza, a causa dei problemi socio-economici, che colpiscono specialmente i più poveri.

 

Per questo dobbiamo tenere ben fermo il nostro sguardo su Gesù (cfr Eb 12,2) e con questa fede abbracciare la speranza del Regno di Dio che Gesù stesso ci porta (cfr Mc 1,5; Mt 4,17; CCC, 2816). Un Regno di guarigione e di salvezza che è già presente in mezzo a noi (cfr Lc 10,11). Un Regno di giustizia e di pace che si manifesta con opere di carità, che a loro volta accrescono la speranza e rafforzano la fede (cfr 1 Cor 13,13). Nella tradizione cristiana, fede, speranza carità sono molto più che sentimenti o atteggiamenti. Sono virtù infuse in noi dalla grazia dello Spirito Santo (cfr CCC, 1812-1813): doni che ci guariscono e che ci rendono guaritori, doni che ci aprono a orizzonti nuovi, anche mentre navighiamo nelle difficili acque del nostro tempo.

 

(…)

 

La Chiesa, benché amministri la grazia risanante di Cristo mediante i Sacramenti, e benché provveda servizi sanitari negli angoli più remoti del pianeta, non è esperta nella prevenzione o nella cura della pandemia. E nemmeno dà indicazioni socio-politiche specifiche (cfr S. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 4). Questo è compito dei dirigenti politici e sociali. Tuttavia, nel corso dei secoli, e alla luce del Vangelo, la Chiesa ha sviluppato alcuni principi sociali che sono fondamentali (cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa160-208), principi che possono aiutarci ad andare avanti, per preparare il futuro di cui abbiamo bisogno. Cito i principali, tra loro strettamente connessi: il principio della dignità della persona, il principio del bene comune, il principio dell’opzione preferenziale per i poveri, il principio della destinazione universale dei beni, il principio della solidarietà, della sussidiarietà, il principio della cura per la nostra casa comune. Questi principi aiutano i dirigenti, i responsabili della società a portare avanti la crescita e anche, come in questo caso di pandemia, la guarigione del tessuto personale e sociale. Tutti questi principi esprimono, in modi diversi, le virtù della fede, della speranza e dell’amore.
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UDIENZA GENERALE
Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 12 agosto 2020

 

Catechesi - “Guarire il mondo”: 2. Fede e dignità umana

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

 

La pandemia ha messo in risalto quanto siamo tutti vulnerabili e interconnessi. Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro, a partire dagli ultimi, da coloro che sono maggiormente colpiti, incluso il creato, non possiamo guarire il mondo.

 

È da lodare l’impegno di tante persone che in questi mesi stanno dando prova dell’amore umano e cristiano verso il prossimo, dedicandosi ai malati anche a rischio della propria salute. Sono degli eroi! Tuttavia, il coronavirus non è l’unica malattia da combattere, ma la pandemia ha portato alla luce patologie sociali più ampie. Una di queste è la visione distorta della persona, uno sguardo che ignora la sua dignità e il suo carattere relazionale. A volte guardiamo gli altri come oggetti, da usare e scartare. In realtà, questo tipo di sguardo acceca e fomenta una cultura dello scarto individualistica e aggressiva, che trasforma l’essere umano in un bene di consumo (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 53; Enc. Laudato si’ [LS], 22).

 

(…)

 

Chiediamo, dunque, al Signore di darci occhi attenti ai fratelli e alle sorelle, specialmente a quelli che soffrono. Come discepoli di Gesù non vogliamo essere indifferenti né individualisti, questi sono i due atteggiamenti brutti contro l’armonia. Indifferente: io guardo da un’altra parte. Individualisti: guardare soltanto il proprio interesse. L’armonia creata da Dio ci chiede di guardare gli altri, i bisogni degli altri, i problemi degli altri, essere in comunione.  Vogliamo riconoscere in ogni persona, qualunque sia la sua razza, lingua o condizione, la dignità umana. L’armonia ti porta a riconoscere la dignità umana, quell’armonia creata da Dio, con l’uomo al centro.

 

(…)

 

Mentre tutti noi lavoriamo per la cura da un virus che colpisce tutti in maniera indistinta, la fede ci esorta a impegnarci seriamente e attivamente per contrastare l’indifferenza davanti alle violazioni della dignità umana. Questa cultura dell’indifferenza che accompagna la cultura dello scarto: le cose che non mi toccano non mi interessano. La fede sempre esige di lasciarci guarire e convertire dal nostro individualismo, sia personale sia collettivo; un individualismo di partito, per esempio.

 

Possa il Signore “restituirci la vista” per riscoprire che cosa significa essere membri della famiglia umana. E possa questo sguardo tradursi in azioni concrete di compassione e rispetto per ogni persona e di cura e custodia per la nostra casa comune.

 

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UDIENZA GENERALE
Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 19 agosto 2020

 

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Tutti siamo preoccupati per le conseguenze sociali della pandemia. Tutti. Molti vogliono tornare alla normalità e riprendere le attività economiche. Certo, ma questa “normalità” non dovrebbe comprendere le ingiustizie sociali e il degrado dell’ambiente. La pandemia è una crisi e da una crisi non si esce uguali: o usciamo migliori o usciamo peggiori. Noi dovremmo uscire migliori, per migliorare le ingiustizie sociali e il degrado ambientale. Oggi abbiamo un’occasione per costruire qualcosa di diverso. Per esempio, possiamo far crescere un’economia di sviluppo integrale dei poveri e non di assistenzialismo. Con questo io non voglio condannare l’assistenza, le opere di assistenza sono importanti. Pensiamo al volontariato, che è una delle strutture più belle che ha la Chiesa italiana. Ma dobbiamo andare oltre e risolvere i problemi che ci spingono a fare assistenza. Un’economia che non ricorra a rimedi che in realtà avvelenano la società, come i rendimenti dissociati dalla creazione di posti di lavoro dignitosi (cfr EG, 204). Questo tipo di profitti è dissociato dall’economia reale, quella che dovrebbe dare beneficio alla gente comune (cfr Enc. Laudato si’ [LS], 109), e inoltre risulta a volte indifferente ai danni inflitti alla casa comune. L’opzione preferenziale per i poveri, questa esigenza etico-sociale che proviene dall’amore di Dio (cfr LS, 158), ci dà l’impulso a pensare e disegnare un’economia dove le persone, e soprattutto i più poveri, siano al centro. E ci incoraggia anche a progettare la cura del virus privilegiando coloro che ne hanno più bisogno. Sarebbe triste se nel vaccino per il Covid-19 si desse la priorità ai più ricchi! Sarebbe triste se questo vaccino diventasse proprietà di questa o quella Nazione e non sia universale e per tutti. E che scandalo sarebbe se tutta l’assistenza economica che stiamo osservando – la maggior parte con denaro pubblico – si concentrasse a riscattare industrie che non contribuiscono all’inclusione degli esclusi, alla promozione degli ultimi, al bene comune o alla cura del creato (ibid.). Sono dei criteri per scegliere quali saranno le industrie da aiutare: quelle che contribuiscono all’inclusione degli esclusi, alla promozione degli ultimi, al bene comune e alla cura del creato. Quattro criteri.

 

Se il virus dovesse nuovamente intensificarsi in un mondo ingiusto per i poveri e i più vulnerabili, dobbiamo cambiare questo mondo. Con l’esempio di Gesù, il medico dell’amore divino integrale, cioè della guarigione fisica, sociale e spirituale (cfr Gv 5,6-9) – come era la guarigione che faceva Gesù -, dobbiamo agire ora, per guarire le epidemie provocate da piccoli virus invisibili, e per guarire quelle provocate dalle grandi e visibili ingiustizie sociali. Propongo che ciò venga fatto a partire dall’amore di Dio, ponendo le periferie al centro e gli ultimi al primo posto. Non dimenticare quel parametro sul quale saremo giudicati, Matteo, capitolo 25. Mettiamolo in pratica in questa ripresa dall’epidemia. E a partire da questo amore concreto, ancorato alla speranza e fondato nella fede, un mondo più sano sarà possibile. Al contrario, usciremo peggio dalla crisi. Che il Signore ci aiuti, ci dia la forza per uscire migliori, rispondendo alle necessità del mondo di oggi.

 

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UDIENZA GENERALE
Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 26 agosto 2020


Catechesi - “Guarire il mondo”: 4. La destinazione universale dei beni e la virtù della speranza

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

 

Davanti alla pandemia e alle sue conseguenze sociali, molti rischiano di perdere la speranza. In questo tempo di incertezza e di angoscia, invito tutti ad accogliere il dono della speranza che viene da Cristo. È Lui che ci aiuta a navigare nelle acque tumultuose della malattia, della morte e dell’ingiustizia, che non hanno l’ultima parola sulla nostra destinazione finale.

 

La pandemia ha messo in rilievo e aggravato i problemi sociali, soprattutto la disuguaglianza. Alcuni possono lavorare da casa, mentre per molti altri questo è impossibile. Certi bambini, nonostante le difficoltà, possono continuare a ricevere un’educazione scolastica, mentre per tantissimi altri questa si è interrotta bruscamente. Alcune nazioni potenti possono emettere moneta per affrontare l’emergenza, mentre per altre questo significherebbe ipotecare il futuro.

 

Questi sintomi di disuguaglianza rivelano una malattia sociale; è un virus che viene da un’economia malata. Dobbiamo dirlo semplicemente: l’economia è malata. Si è ammalata. È il frutto di una crescita economica iniqua - questa è la malattia: il frutto di una crescita economica iniqua - che prescinde dai valori umani fondamentali. Nel mondo di oggi, pochi ricchissimi possiedono più di tutto il resto dell’umanità. Ripeto questo perché ci farà pensare: pochi ricchissimi, un  gruppetto, possiedono più di tutto il resto dell’umanità. Questa è statistica pura. È un’ingiustizia che grida al cielo! Nello stesso tempo, questo modello economico è indifferente ai danni inflitti alla casa comune. Non si prende cura della casa comune. Siamo vicini a superare molti dei limiti del nostro meraviglioso pianeta, con conseguenze gravi e irreversibili: dalla perdita di biodiversità e dal cambiamento climatico fino all’aumento del livello dei mari e alla distruzione delle foreste tropicali. La disuguaglianza sociale e il degrado ambientale vanno di pari passo e hanno la stessa radice (cfr Enc. Laudato si’, 101): quella del peccato di voler possedere, di voler dominare i fratelli e le sorelle, di voler possedere e dominare la natura e lo stesso Dio. Ma questo non è il disegno della creazione.

 

(…)

 

E questo lo capirono le prime comunità cristiane, che come noi vissero tempi difficili. Consapevoli di formare un solo cuore e una sola anima, mettevano tutti i loro beni in comune, testimoniando la grazia abbondante di Cristo su di loro (cfr At 4,32-35). Noi stiamo vivendo una crisi. La pandemia ci ha messo tutti in crisi. Ma ricordatevi: da una crisi non si può uscire uguali, o usciamo migliori, o usciamo peggiori. Questa è la nostra opzione. Dopo la crisi, continueremo con questo sistema economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura dell’ambiente, del creato, della casa comune? Pensiamoci. Possano le comunità cristiane del ventunesimo secolo recuperare questa realtà - la cura del creato e la giustizia sociale: vanno insieme -, dando così testimonianza della Risurrezione del Signore. Se ci prendiamo cura dei beni che il Creatore ci dona, se mettiamo in comune ciò che possediamo in modo che a nessuno manchi, allora davvero potremo ispirare speranza per rigenerare un mondo più sano e più equo.

 

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UDIENZA GENERALE
Cortile San Damaso
Mercoledì, 16 settembre 2020


Catechesi “Guarire il mondo”: 7. Cura della casa comune e atteggiamento contemplativo

 

(…)  Senza contemplazione, è facile cadere in un antropocentrismo squilibrato e superbo, l’“io” al centro di tutto, che sovradimensiona il nostro ruolo di esseri umani, posizionandoci come dominatori assoluti di tutte le altre creature. Una interpretazione distorta dei testi biblici sulla creazione ha contribuito a questo sguardo sbagliato, che porta a sfruttare la terra fino a soffocarla. Sfruttare il creato: questo è il peccato. Crediamo di essere al centro, pretendendo di occupare il posto di Dio e così roviniamo l’armonia del creato, l’armonia del disegno di Dio. Diventiamo predatori, dimenticando la nostra vocazione di custodi della vita. Certo, possiamo e dobbiamo lavorare la terra per vivere e svilupparci. Ma il lavoro non è sinonimo di sfruttamento, ed è sempre accompagnato dalla cura: arare e proteggere, lavorare e prendersi cura… Questa è la nostra missione (cfr Gen 2,15). Non possiamo pretendere di continuare a crescere a livello materiale, senza prenderci cura della casa comune che ci accoglie. I nostri fratelli più poveri e la nostra madre terra gemono per il danno e l’ingiustizia che abbiamo provocato e reclamano un’altra rotta. Reclamano da noi una conversione, un cambio di strada: prendersi cura anche della terra, del creato.

 

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UDIENZA GENERALE
Cortile San Damaso
Mercoledì, 23 settembre 2020

 

Catechesi “Guarire il mondo”: 8. Sussidiarietà e virtù della speranza

 

(…)

 

Ciascuno deve avere la possibilità di assumere la propria responsabilità nei processi di guarigione della società di cui fa parte. Quando si attiva qualche progetto che riguarda direttamente o indirettamente determinati gruppi sociali, questi non possono essere lasciati fuori dalla partecipazione. Per esempio: “Cosa fai tu? - Io vado a lavorare per i pover i – Bello, e cosa fai? – Io insegno ai poveri, io dico ai poveri quello che devono fare – No, questo non va, il primo passo è lasciare che i poveri dicano a te come vivono, di cosa hanno bisogno: Bisogna lasciar parlare tutti! E così funziona il principio di sussidiarietà. Non possiamo lasciare fuori della partecipazione questa gente; la loro saggezza, la saggezza dei gruppi più umili non può essere messa da parte (cfr Esort. ap. postsin Querida Amazonia [QA], 32; Enc. Laudato si’, 63). Purtroppo, questa ingiustizia si verifica spesso là dove si concentrano grandi interessi economici o geopolitici, come ad esempio certe attività estrattive in alcune zone del pianeta (cfr QA, 9.14). Le voci dei popoli indigeni, le loro culture e visioni del mondo non vengono prese in considerazione. Oggi, questa mancanza di rispetto del principio di sussidiarietà si è diffusa come un virus. Pensiamo alle grandi misure di aiuti finanziari attuate dagli Stati. Si ascoltano di più le grandi compagnie finanziarie anziché la gente o coloro che muovono l’economia reale. Si ascoltano di più le compagnie multinazionali che i movimenti sociali. Volendo dire ciò con il linguaggio della gente comune: si ascoltano più i potenti che i deboli e questo non è il cammino, non è il cammino umano, non è il cammino che ci ha insegnato Gesù, non è attuare il principio di sussidiarietà. Così non permettiamo alle persone di essere «protagoniste del proprio riscatto».[1] Nell’inconscio collettivo di alcuni politici o di alcuni sindacalisti c’è questo motto: tutto per il popolo, niente con il popolo. Dall’alto in basso ma senza ascoltare la saggezza del popolo, senza far attuare questa saggezza nel risolvere dei problemi, in questo caso nell’uscire dalla crisi. O pensiamo anche al modo di curare il virus: si ascoltano più le grandi compagnie farmaceutiche che gli operatori sanitari, impegnati in prima linea negli ospedali o nei campi-profughi. Questa non è una strada buona. Tutti vanno ascoltati, quelli che sono in alto e quelli che sono in basso, tutti.

 

Per uscire migliori da una crisi, il principio di sussidiarietà dev’essere attuato, rispettando l’autonomia e la capacità di iniziativa di tutti, specialmente degli ultimi. Tutte le parti di un corpo sono necessarie e, come dice San Paolo, quelle parti che potrebbero sembrare più deboli e meno importanti, in realtà sono le più necessarie (cfr 1 Cor 12,22). Alla luce di questa immagine, possiamo dire che il principio di sussidiarietà consente ad ognuno di assumere il proprio ruolo per la cura e il destino della società. Attuarlo, attuare il principio di sussidiarietà dà speranza, dà speranza in un futuro più sano e giusto; e questo futuro lo costruiamo insieme, aspirando alle cose più grandi, ampliando i nostri orizzonti. [2] O insieme o non funziona. O lavoriamo insieme per uscire dalla crisi, a tutti i livelli della società, o non ne usciremo mai. Uscire dalla crisi non significa dare una pennellata di vernice alle situazioni attuali perché sembrino un po’ più giuste. Uscire dalla crisi significa cambiare, e il vero cambiamento lo fanno tutti, tutte le persone che formano il popolo. Tutte le professioni, tutti. E tutti insieme, tutti in comunità. Se non lo fanno tutti il risultato sarà negativo.

 

In una catechesi precedente abbiamo visto come la solidarietà è la via per uscire dalla crisi: ci unisce e ci permette di trovare proposte solide per un mondo più sano. Ma questo cammino di solidarietà ha bisogno della sussidiarietà. Qualcuno potrà dirmi: “Ma padre oggi sta parlando con parole difficili!”. Ma per questo cerco di spiegare cosa significa. Solidali, perché andiamo sulla strada della sussidiarietà. Infatti, non c’è vera solidarietà senza partecipazione sociale, senza il contributo dei corpi intermedi: delle famiglie, delle associazioni, delle cooperative, delle piccole imprese, delle espressioni della società civile. Tutti devono contribuire, tutti. Tale partecipazione aiuta a prevenire e correggere certi aspetti negativi della globalizzazione e dell’azione degli Stati, come accade anche nella cura della gente colpita dalla pandemia. Questi contributi “dal basso” vanno incentivati. Ma quanto è bello vedere il lavoro dei volontari nella crisi. I volontari che vengono da tutte le parti sociali, volontari che vengono dalle famiglie più benestanti e che vengono dalle famiglie più povere. Ma tutti, tutti insieme per uscire. Questo è solidarietà e questo è principio di sussidiarietà.

 

Durante il lockdown è nato spontaneo il gesto dell’applauso per i medici e gli infermieri e le infermiere come segno di incoraggiamento e di speranza. Tanti hanno rischiato la vita e tanti hanno dato la vita. Estendiamo questo applauso ad ogni membro del corpo sociale, a tutti, a ognuno, per il suo prezioso contributo, per quanto piccolo. “Ma cosa potrà fare quello di là?. – Ascoltalo, dagli spazio per lavorare, consultalo”. Applaudiamo gli “scartati”, quelli che questa cultura qualifica “scartati”, questa cultura dello scarto, cioè applaudiamo gli anziani, i bambini, le persone con disabilità, applaudiamo i lavoratori, tutti quelli che si mettono al servizio. Tutti collaborano per uscire dalla crisi. Ma non fermiamoci solo all’applauso! La speranza è audace, e allora incoraggiamoci a sognare in grande. Fratelli e sorelle, impariamo a sognare in grande! Non abbiamo paura di sognare in grande, cercando gli ideali di giustizia e di amore sociale che nascono dalla speranza. Non proviamo a ricostruire il passato, il passato è passato, ci aspettano cose nuove. Il Signore ha promesso: “Io farò nuove tutte le cose”. Incoraggiamoci a sognare in grande cercando questi ideali, non proviamo a ricostruire il passato, soprattutto quello che era iniquo e già malato, che ho nominato già come ingiustizie. Costruiamo un futuro dove la dimensione locale e quella globale si arricchiscano mutualmente, - ognuno può dare il suo, ognuno deve dare del suo, la sua cultura, la sua filosofia, il suo modo di pensare -, dove la bellezza e la ricchezza dei gruppi minori anche dei gruppi scartati possa fiorire perché pure lì c’è bellezza, e dove chi ha di più si impegni a servire e a dare di più a chi ha di meno.

 

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UDIENZA GENERALE
Cortile San Damaso
Mercoledì, 30 settembre 2020

 

Catechesi “Guarire il mondo”: 9. Preparare il futuro insieme a Gesù che salva e guarisce

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

 

Nelle scorse settimane, abbiamo riflettuto insieme, alla luce del Vangelo, su come guarire il mondo che soffre per un malessere che la pandemia ha evidenziato e accentuato. Il malessere c’era: la pandemia lo ha evidenziato di più, lo ha accentuato. Abbiamo percorso le vie della dignità, della solidarietà e della sussidiarietà, vie indispensabili per promuovere la dignità umana e il bene comune. E come discepoli di Gesù, ci siamo proposti di seguire i suoi passi optando per i poveri, ripensando l’uso dei beni e prendendoci cura della casa comune. Nel mezzo della pandemia che ci affligge, ci siamo ancorati ai principi della dottrina sociale della Chiesa, lasciandoci guidare dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Qui abbiamo trovato un solido aiuto per essere operatori di trasformazione che sognano in grande, non si fermano alle meschinità che dividono e feriscono, ma incoraggiano a generare un mondo nuovo e migliore.

 

Vorrei che questo cammino non finisca con queste mie catechesi, ma che si possa continuare a camminare insieme, «tenendo fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 12,2), come abbiamo sentito all’inizio; lo sguardo su Gesù che salva e guarisce il mondo. Come ci mostra il Vangelo, Gesù ha guarito i malati di ogni tipo (cfr Mt 9,35), ha dato la vista ai ciechi, la parola ai muti, l’udito ai sordi. E quando guariva le malattie e le infermità fisiche, guariva anche lo spirito perdonando i peccati, perché Gesù sempre perdona, così come i “dolori sociali” includendo gli emarginati (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1421). Gesù, che rinnova e riconcilia ogni creatura (cfr 2 Cor 5,17; Col 1,19-20), ci regala i doni necessari per amare e guarire come Lui sapeva fare (cfr Lc 10,1-9; Gv 15,9-17), per prendersi cura di tutti senza distinzioni di razza, lingua o nazione.

 

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Un piccolo virus continua a causare ferite profonde e smaschera le nostre vulnerabilità fisiche, sociali e spirituali. Ha messo a nudo la grande disuguaglianza che regna del mondo: disuguaglianza di opportunità, di beni, di accesso alla sanità, alla tecnologia, all’educazione: milioni di bambini non possono andare a scuola, e così via la lista. Queste ingiustizie non sono naturali né inevitabili. Sono opera dell’uomo, provengono da un modello di crescita sganciato dai valori più profondi. Lo spreco del pasto avanzato: con quello spreco si può dare da mangiare a tutti. E ciò ha fatto perdere la speranza a molti ed ha aumentato l’incertezza e l’angoscia. Per questo, per uscire dalla pandemia, dobbiamo trovare la cura non solamente per il coronavirus – che è importante! – ma anche per i grandi virus umani e socioeconomici. Non bisogna nasconderli, facendo una pennellata di vernice perché non si vedano. E certo non possiamo aspettarci che il modello economico che è alla base di uno sviluppo iniquo e insostenibile risolva i nostri problemi. Non l’ha fatto e non lo farà, perché non può farlo, anche se certi falsi profeti continuano a promettere “l’effetto a cascata” che non arriva mai.[2] Avete sentito voi, il teorema del bicchiere: l’importante è che il bicchiere si riempia e così poi cade sui poveri e sugli altri, e ricevono ricchezze. Ma c’è un fenomeno: il bicchiere incomincia a riempirsi e quando è quasi pieno cresce, cresce e cresce e non avviene mai la cascata. Occorre stare attenti.

 

Dobbiamo metterci a lavorare con urgenza per generare buone politiche, disegnare sistemi di organizzazione sociale in cui si premi la partecipazione, la cura e la generosità, piuttosto che l’indifferenza, lo sfruttamento e gli interessi particolari. Dobbiamo andare avanti con tenerezza. Una società solidale ed equa è una società più sana. Una società partecipativa – dove gli “ultimi” sono tenuti in considerazione come i “primi” – rafforza la comunione. Una società dove si rispetta la diversità è molto più resistente a qualsiasi tipo di virus.

 

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UDIENZA GENERALE
Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 9 dicembre 2020

 

Catechesi sulla preghiera 18. La preghiera di domanda

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

 

Continuiamo con le nostre riflessioni sulla preghiera. La preghiera cristiana è pienamente umana - noi preghiamo come persone umane, come quello che siamo -, comprende la lode e la supplica. Infatti, quando Gesù ha insegnato ai suoi discepoli a pregare, lo ha fatto con il “Padre nostro”, affinché ci poniamo con Dio nella relazione di confidenza filiale e gli rivolgiamo tutte le nostre domande. Imploriamo Dio per i doni più alti: la santificazione del suo nome tra gli uomini, l’avvento della sua signoria, la realizzazione della sua volontà di bene nei confronti del mondo. Il Catechismo ricorda: «Nelle domande esiste una gerarchia: prima di tutto si chiede il Regno, poi ciò che è necessario per accoglierlo e per cooperare al suo avvento» (n. 2632). Ma nel “Padre nostro” preghiamo anche per i doni più semplici, per i doni più feriali, come il “pane quotidiano” – che vuol dire anche la salute, la casa, il lavoro, le cose di tutti i giorni; e pure per l’Eucaristia vuol dire, necessaria per la vita in Cristo –; così come preghiamo per il perdono dei peccati - che è una cosa quotidiana; abbiamo sempre bisogno di perdono - e quindi la pace nelle nostre relazioni; e infine che ci aiuti nelle tentazioni e ci liberi dal male.

 

Chiedere, supplicare. Questo è molto umano. Ascoltiamo ancora il Catechismo: «Con la preghiera di domanda noi esprimiamo la coscienza della nostra relazione con Dio: in quanto creature, non siamo noi il nostro principio, né siamo padroni delle avversità, né siamo il nostro ultimo fine; anzi, per di più, essendo peccatori, noi, come cristiani, sappiamo che ci allontaniamo dal Padre. La domanda è già un ritorno a Lui» (n. 2629).

 

Se uno si sente male perché ha fatto delle cose brutte - è un peccatore - quando prega il Padre Nostro già si sta avvicinando al Signore. A volte noi possiamo credere di non aver bisogno di nulla, di bastare a noi stessi e di vivere nell’autosufficienza più completa. A volte succede questo! Ma prima o poi questa illusione svanisce. L’essere umano è un’invocazione, che a volte diventa grido, spesso trattenuto. L’anima assomiglia a una terra arida, assetata, come dice il Salmo (cfr Sal 63,2). Tutti sperimentiamo, in un momento o nell’altro della nostra esistenza, il tempo della malinconia o della solitudine. La Bibbia non si vergogna di mostrare la condizione umana segnata dalla malattia, dalle ingiustizie, dal tradimento degli amici, o dalla minaccia dei nemici. A volte sembra che tutto crolli, che la vita vissuta finora sia stata vana. E in queste situazioni apparentemente senza sbocchi c’è un’unica via di uscita: il grido, la preghiera: «Signore, aiutami!». La preghiera apre squarci di luce nelle tenebre più fitte. «Signore, aiutami!». Questo apre la strada, apre il cammino.

 

(…)

 

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ANGELUS

 

ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 2 agosto 2020

 

(…) E allargando il pensiero a tutti quanti sono collegati, auguro che in questo periodo molti possano vivere qualche giorno di riposo e di contatto con la natura, in cui ricaricare anche la dimensione spirituale. Nello stesso tempo auspico che, con l’impegno convergente di tutti i responsabili politici ed economici, si rilanci il lavoro: senza lavoro le famiglie e la società non possono andare avanti. Preghiamo per questo è e sarà un problema della post-pandemia: la povertà, la mancanza di lavoro. E ci vuole tanta solidarietà e tanta creatività per risolvere questo problema.

 

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ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 20 settembre 2020

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
L’odierna pagina evangelica (cfr Mt 20,1-16) narra la parabola dei lavoratori chiamati a giornata dal padrone della vigna. Attraverso questo racconto, Gesù ci mostra il sorprendente modo di agire di Dio, rappresentato da due atteggiamenti del padrone: la chiamata e la ricompensa.
Prima di tutto la chiamata. Per cinque volte il padrone di una vigna esce in piazza e chiama a lavorare per lui:
alle sei, alle nove, alle dodici, alle tre e alle cinque del pomeriggio. È toccante l’immagine di questo padrone che esce a più riprese sulla piazza a cercare lavoratori per la sua vigna. Quel padrone rappresenta Dio che chiama tutti e chiama sempre, a qualsiasi ora. Dio agisce così anche oggi: continua a chiamare chiunque, a qualsiasi ora, per invitare a lavorare nel suo Regno. Questo è lo stile di Dio, che a nostra volta siamo chiamati a recepire e imitare. Egli non sta rinchiuso nel suo mondo, ma “esce”: Dio sempre è in uscita, cercando noi; non è rinchiuso: Dio esce. Esce continuamente alla ricerca delle persone, perché vuole che nessuno sia escluso dal suo disegno d’amore.
Anche le nostre comunità sono chiamate ad uscire dai vari tipi di “confini” che ci possono essere, per offrire a tutti la parola di salvezza che Gesù è venuto a portare. Si tratta di aprirsi ad orizzonti di vita che offrano speranza a quanti stazionano nelle periferie esistenziali e non hanno ancora sperimentato, o hanno smarrito, la forza e la luce dell’incontro con Cristo. La Chiesa deve essere come Dio: sempre in uscita; e quando la Chiesa non è in uscita, si ammala di tanti mali che abbiamo nella Chiesa. E perché queste malattie nella Chiesa? Perché non è in uscita. E’ vero che quando uno esce c’è il pericolo di un incidente. Ma è meglio una Chiesa incidentata, per uscire, per annunziare il Vangelo, che una Chiesa ammalata da chiusura. Dio esce sempre, perché è Padre, perché ama. La Chiesa deve fare lo stesso: sempre in uscita.
Il secondo atteggiamento del padrone, che rappresenta quello di Dio, è il suo modo di ricompensare i lavoratori. Come paga, Dio? Il padrone si accorda per «un denaro» (v. 2) con i primi operai assunti al mattino. A coloro che si aggiungono in seguito invece dice: «Quello che è giusto ve lo darò» (v. 4). Al termine della giornata, il padrone della vigna ordina di dare a tutti la stessa paga, cioè un denaro. Quelli che hanno lavorato fin dal mattino sono sdegnati e si lamentano contro il padrone, ma lui insiste: vuole dare il massimo della ricompensa a tutti, anche a quelli che sono arrivati per ultimi (vv. 8-15). Sempre Dio paga il massimo: non rimane a metà pagamento. Paga tutto. E qui si capisce che Gesù non sta parlando del lavoro e del giusto salario, che è un altro problema, ma del Regno di Dio e della bontà del Padre celeste che esce continuamente a invitare e paga il massimo a tutti.
Infatti, Dio si comporta così: non guarda al tempo e ai risultati, ma alla disponibilità, guarda alla generosità con cui ci mettiamo al suo servizio. Il suo agire è più che giusto, nel senso che va oltre la giustizia e si manifesta nella Grazia. Tutto è Grazia. La nostra salvezza è Grazia. La nostra santità è Grazia. Donandoci la Grazia, Egli ci elargisce più di quanto noi meritiamo. E allora, chi ragiona con la logica umana, cioè quella dei meriti acquistati con la propria bravura, da primo si trova ultimo. “Ma, io ho lavorato tanto, ho fatto tanto nella Chiesa, ho aiutato tanto, e mi pagano lo stesso di questo che è arrivato per ultimo”. Ricordiamo chi è stato il primo santo canonizzato nella Chiesa: il Buon Ladrone. Ha “rubato” il Cielo all’ultimo momento della sua vita: questo è Grazia, così è Dio. Anche con tutti noi. Invece, chi cerca di pensare ai propri meriti, fallisce; chi si affida con umiltà alla misericordia del Padre, da ultimo – come il Buon Ladrone – si trova primo (cfr v. 16).
Maria Santissima ci aiuti a sentire ogni giorno la gioia e lo stupore di essere chiamati da Dio a lavorare per Lui, nel suo campo che è il mondo, nella sua vigna che è la Chiesa. E di avere come unica ricompensa il suo amore, l’amicizia con Gesù.

 

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ANGELUS
Biblioteca del Palazzo Apostolico
Sabato, 26 dicembre 2020

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

 

Ieri il Vangelo parlava di Gesù «luce vera» venuta nel mondo, luce che «splende nelle tenebre» e che «le tenebre non hanno vinta» (Gv 1,9.5). Oggi vediamo il testimone di Gesù, santo Stefano, che brilla nelle tenebre. I testimoni brillano con la luce di Gesù, non hanno luce propria. Anche la Chiesa non ha luce propria; per questo i padri antichi chiamavano la Chiesa: “il mistero della luna”. Come la luna non ha luce propria, i testimoni non hanno luce propria, sono capaci di prendere la luce di Gesù e rifletterla.

 

(…)

 

Essere testimoni di Gesù vale anche per noi. Il Signore desidera che facciamo della vita un’opera straordinaria attraverso i gesti ordinari, i gesti di ogni giorno. Lì dove viviamo, in famiglia, al lavoro, ovunque, siamo chiamati a essere testimoni di Gesù, anche solo donando la luce di un sorriso, luce che non è nostra: è di Gesù, e anche solo fuggendo le ombre delle chiacchiere e dei pettegolezzi. E poi, quando vediamo qualcosa che non va, al posto di criticare, sparlare e lamentarci, preghiamo per chi ha sbagliato e per quella situazione difficile. E quando a casa nasce una discussione, anziché cercare di prevalere, proviamo a disinnescare; e a ricominciare ogni volta, perdonando chi ha offeso. Piccole cose, ma cambiano la storia, perché aprono la porta, aprono la finestra alla luce di Gesù. Santo Stefano, mentre riceveva le pietre dell’odio, restituiva parole di perdono. Così ha cambiato la storia. Anche noi possiamo cambiare ogni giorno il male in bene, come suggerisce un bel proverbio, che dice: «Fai come la palma: le tirano sassi e lei lascia cadere datteri».

 

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SALUTI

 

SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA DELEGAZIONE DI PESCATORI
DA SAN BENEDETTO DEL TRONTO (ASCOLI PICENO)
Sala Clementina
Sabato, 18 gennaio 2020


Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di incontrarvi e vi saluto tutti cordialmente. Ringrazio il vostro Vescovo per le sue parole, come pure i sacerdoti qui presenti, che accompagnano spiritualmente il vostro lavoro e le vostre famiglie. Lungo la costa delle Marche, voi uscite con il buono e il cattivo tempo per prendere dal mare il necessario per vivere, con tanta passione, tanti sacrifici e anche qualche pericolo. E i vostri cari condividono le difficoltà e la precarietà che questo vostro genere di vita comporta.
Voi siete una categoria significativa nella vita sociale del vostro territorio. Nel progresso che caratterizza la società moderna, il pescatore può talvolta sentirsi tentato dal desiderio di un lavoro sicuro sulla terra ferma. Eppure, chi è nato sul mare non può sradicare il mare dal suo cuore. Vi esorto a non perdere la speranza di fronte agli inconvenienti e alle incertezze che dovete purtroppo affrontare: il coraggio non vi manca! Al tempo stesso, è necessario che sia valorizzato il vostro lavoro, spesso rischioso e duro, sostenendo i vostri diritti e le vostre legittime aspirazioni.
(…)
Cari amici, il vostro è un lavoro antico. Anche il mio predecessore Pietro era pescatore. Nel Vangelo leggiamo una serie di avvenimenti legati alla vita e al mondo dei pescatori. I primi discepoli di Gesù erano “vostri colleghi”, e Lui li chiamò a seguirlo proprio mentre stavano sistemando le reti sulla riva del lago di Galilea.
Mi piace pensare che anche oggi, quanti tra voi siete cristiani, sentiate la presenza spirituale del Signore accanto a voi. La vostra fede anima valori preziosi: la religiosità popolare che si esprime nella fiducia in Dio, nel senso della preghiera e nell’educazione cristiana dei figli; la stima per la famiglia; il senso della solidarietà, per cui sentite il bisogno di aiutarvi a vicenda e di soccorrervi nelle necessità. Per favore, non perdete questi valori!
Con questi auspici, vi affido alla protezione della Vergine Maria, che venerate come “Madonna della Marina”, e del vostro patrono San Francesco di Paola. Invoco su di voi, sulle vostre famiglie e sul vostro lavoro la benedizione del Signore. E vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie!

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SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI DIRIGENTI E AGLI AGENTI DELL'ISPETTORATO DI PUBBLICA SICUREZZA
PRESSO IL VATICANO

Sala Clementina
Sabato, 8 febbraio 2020

 

Signor Capo della Polizia,
Signor Prefetto e Signor Dirigente,
Cari Funzionari e Agenti!

Fa parte di una bella e consolidata tradizione questo incontro, all’inizio dell’anno, fra il Successore di Pietro e voi, che formate l’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano

 

(…)

 

Il vostro servizio alla Santa Sede e allo Stato della Città del Vaticano riveste un significato e un valore peculiari. Non è facile rapportarsi ogni giorno con i turisti e i pellegrini che visitano la Piazza e la Basilica di San Pietro e i Musei Vaticani, o che vengono per incontrare il Papa. Nella varietà delle situazioni, voi siete chiamati a coniugare le loro esigenze con le indispensabili regole dell’ordine pubblico e del tranquillo svolgersi della vita intorno alla Città del Vaticano e ai luoghi sacri alla fede cattolica. E la vostra opera è altrettanto importante in occasione delle mie visite pastorali a Roma e in Italia, dovunque mi conduce l’esercizio del ministero. Ormai tante volte ho potuto constatare di persona la vostra presenza discreta quanto attenta ed efficace! Questo voglio sottolineare: discreta; efficace e attenta, ma discreta. E questo dice l’alto livello umano. Per questo, grazie tante.

 

Il vostro lavoro, oltre a competenza e professionalità, manifesta l’amore sincero e il fedele attaccamento alla Sede Apostolica. Di tutto, specialmente del vostro servizio quotidiano, svolto in modo encomiabile, vi sono personalmente riconoscente; e in questa circostanza intendo rinnovarvi la mia stima per lo spirito che lo anima. La costante cooperazione con la Gendarmeria Vaticana lo rende ancora più efficace e meritorio.

 

(…)

 

Rinnovo l’auspicio che il vostro impegno quotidiano, talora non esente da rischi, sia sempre animato dalla fiamma della fede, della speranza e della carità. Una fiamma umile, semplice ma genuina.

 

Portate i miei auguri anche ai vostri familiari a casa. Per tutti invoco dal Signore la prosperità, la concordia e la pace. Benedico tutti voi e il vostro lavoro; e vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie!

 

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SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AL MONDO DEI GIORNALI DI STRADA
D.S.M., 21 aprile 2020

 

La vita di milioni di persone, nel nostro mondo già alle prese con tante sfide difficili da affrontare e oppresse dalla pandemia, è cambiata ed è messa a dura prova. Le persone più fragili, gli invisibili, le persone senza dimora rischiano di pagare il conto più pesante.

 

Voglio allora salutare il mondo dei giornali di strada e soprattutto i loro venditori che sono per la maggior parte homeless, persone gravemente emarginate, disoccupate: migliaia di persone che in tutto il mondo vivono e hanno un lavoro grazie alla vendita di questi giornali straordinari.

 

In Italia penso alla bella esperienza di Scarp de’ tenis, il progetto della Caritas che permette a più di 130 persone in difficoltà di avere un reddito e con esso l’accesso ai diritti di cittadinanza fondamentali. Non solo. Penso all’esperienza degli oltre 100 giornali di strada di tutto il mondo, che sono pubblicati in 35 diversi Paesi e in 25 lingue differenti e che garantiscono lavoro e reddito a più di 20.500 senzatetto nel mondo. Da molte settimane i giornali di strada non sono venduti e i loro venditori non possono lavorare. Voglio esprimere allora la mia vicinanza ai giornalisti, ai volontari, alle persone che vivono grazie a questi progetti e che in questi tempi si stanno prodigando con tante idee innovative. La pandemia ha reso difficile il vostro lavoro ma sono sicuro che la grande rete dei giornali di strada del mondo tornerà più forte di prima. Guardare ai più poveri, in questi giorni, può aiutare tutti noi a prendere coscienza di quanto ci sta realmente capitando e della nostra vera condizione. A tutti voi il mio messaggio di incoraggiamento e di fraterna amicizia. Grazie per il lavoro che fate, per l’informazione che date e per le storie di speranza che raccontate.

 

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SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI CARABINIERI DELLA COMPAGNIA ROMA SAN PIETRO
Sala Clementina
Sabato, 17 ottobre 2020

 

Cari Carabinieri!
Sono lieto di accogliervi e di rivolgere a ciascuno il mio cordiale benvenuto. Saluto il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, che ringrazio per le sue parole, il Comandante della Compagnia “San Pietro”, gli altri Comandanti e Ufficiali e tutti voi, qui presenti.
Desidero esprimervi la mia gratitudine per il servizio che rendete alla Santa Sede, collaborando con le altre forze italiane e vaticane per la sicurezza e l’ordine pubblico. La vostra apprezzata opera nei dintorni della Città del Vaticano favorisce il tranquillo svolgimento degli eventi che, nel corso dell’anno, richiamano pellegrini e turisti da ogni parte del mondo. Si tratta di un’attività che richiede, da una parte, l’esigenza di far rispettare le disposizioni che vengono impartite e, dall’altra, una disponibilità paziente alle esigenze delle persone. Quella pazienza che voi avete con tutti quelli che vi fanno domande, anche con i preti. Grazie di questo.
La professionalità e il senso di responsabilità, che voi testimoniate sul territorio, esprimono e rafforzano il senso di solidarietà all’interno della comunità sociale. Nel vostro lavoro, attorno al Vaticano come in altre zone della città, siete chiamati a riservare un’attenzione particolare verso le persone fragili e disagiate, specialmente gli anziani, che sono proprio la radice della nostra cultura, la memoria viva della nostra cultura. Ciò è facilitato dal rapporto di fiducia e di dedizione al bene comune che di solito si instaura tra i carabinieri e la gente. È curioso questo, è vero. Quando una persona incontra un carabiniere, ha la consapevolezza di poter contare sul suo aiuto. E questo è più meritorio quando avviene nel nascondimento, attraverso quei piccoli ma significativi gesti del vostro servizio quotidiano. Se anche i vostri Superiori non vedono questi atti nascosti, voi sapete bene che Dio li vede e non li dimentica!
La vostra missione si esprime nella dedizione al prossimo e vi impegna ogni giorno a corrispondere alla fiducia e alla stima che la gente ripone in voi. Ciò richiede costante disponibilità, prudenza, spirito di sacrificio e senso del dovere. Vi incoraggio ad essere dappertutto promotori di una cittadinanza responsabile, ad aiutare la gente a essere buoni cittadini, ad essere custodi del diritto alla vita, attraverso l’impegno per la sicurezza e per l’incolumità delle persone. Nello svolgimento della vostra professione, vi accompagni sempre la consapevolezza che ogni persona è amata da Dio, è sua creatura e come tale merita rispetto. La grazia del Signore alimenti giorno per giorno lo spirito con cui vi dedicate al vostro lavoro, stimolandovi a viverlo con un supplemento di attenzione e di dedizione.
Rinnovo a tutti voi la mia riconoscenza per la presenza vigile e discreta attorno al Vaticano. Il Signore vi ricompensi! Ogni mattina quando arrivo qui nel mio studio nella Biblioteca, prego la Madonna e poi vado alla finestra a guardare la piazza, a guardare la città e lì, alla fine della piazza, vedo voi. Tutte le mattine vi saluto con il cuore e vi ringrazio. Auspico che la vostra fede, la tradizione di fedeltà e di generosità di cui siete eredi, gli ideali dell’Arma vi aiutino a trovare nel vostro servizio motivi sempre nuovi di realizzazione. Possa ciascuno vivere esperienze positive per la propria vita professionale, personale e familiare.
Invoco su di voi e sul vostro lavoro quotidiano i doni dello Spirito Santo. Vi affido alla materna protezione della Madonna, che voi venerate con il titolo di Virgo fidelis. A lei ricorrete con fiducia, specialmente nei momenti di stanchezza e di difficoltà, sicuri che, come Madre tenerissima, lei saprà presentare al suo Figlio Gesù i vostri bisogni e le vostre attese. Lei è madre e come tutte le madri sa come custodire, come coprire, come aiutare. Di cuore vi benedico, insieme con le vostre famiglie. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!

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SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI DIPENDENTI VATICANI
PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI

 

Aula Paolo VI
Lunedì, 21 dicembre 2020

 

Cari fratelli e sorelle,

 

per me è una gioia incontrarmi con voi dipendenti vaticani e con i vostri familiari, in prossimità delle feste natalizie. Ringrazio il vostro collega medico che ha parlato a nome di tutti voi: le sue parole ci hanno fatto bene e ci danno speranza. Sono riconoscente a ognuno di voi per il lavoro che svolgete con passione a servizio della Curia Romana e della Città del Vaticano. La pandemia ha determinato non solo una criticità sanitaria ma anche non poche difficoltà economiche a tante famiglie e istituzioni. Anche la Santa Sede ne ha risentito e sta facendo ogni sforzo per affrontare nel migliore dei modi questa situazione precaria. Si tratta di ottemperare le legittime esigenze di voi dipendenti e quelle della Santa Sede: dobbiamo venirci incontro reciprocamente e andare avanti nel nostro lavoro comune, ma sempre. I nostri collaboratori, voi che lavorate nella Santa Sede, siete la cosa più importante: nessuno va lasciato fuori, nessuno deve lasciare il lavoro; i superiori del Governatorato e anche della Segreteria di Stato, tutti, stanno cercando i modi per non diminuire le vostre entrate e di non diminuire niente, niente in questo momento tanto brutto per il frutto del vostro lavoro. Si cercano tanto modi, ma i principi sono gli stessi: non lasciare il lavoro; nessuno va licenziato, nessuno deve soffrire l’effetto brutto economico di questa pandemia. Ma tutti insieme dobbiamo lavorare di più per aiutarci a risolvere questo problema che non è facile, perché voi sapete: qui, sia nel Governatorato, sia nella Segreteria di Stato, non c’è Mandrake, non c’è la bacchetta magica e dobbiamo cercare le vie per risolvere questo e con buona volontà, tutti insieme, lo risolveremo. Aiutatemi in questo e io aiuto voi: tutti insieme ci aiutiamo ad andare avanti come una stessa famiglia. Grazie.

 

Il Natale è una festa di gioia «perché è nato per noi Gesù» (cfr Is 9,5) e noi tutti siamo chiamati ad andare verso di Lui. L’esempio ce lo danno i pastori. Dobbiamo andare anche noi a Gesù: scuoterci dal nostro torpore, dalla noia, dall’apatia, dal disinteresse e dalla paura, specialmente in questo tempo di emergenza sanitaria, nel quale si fa fatica a ritrovare l’entusiasmo della vita e della fede. E’ stancante: è un tempo che stanca. Imitando i pastori, siamo chiamati ad assumere tre atteggiamenti, tre verbi: riscoprirecontemplare e annunciare. Ognuno di noi veda nella sua vita come può riscoprire, come può contemplare e come può annunciare.

 

È importante riscoprire la nascita del Figlio di Dio come il più grande avvenimento della storia. È l’avvenimento predetto dai profeti secoli prima che accadesse. È l’avvenimento di cui ancora oggi si parla: qual è il personaggio storico di cui si parla come si parla di Gesù? Sono passati venti secoli e Gesù è più vivo che mai – e anche più perseguitato, tante volte; anche più sporcato dalla mancanza di testimonianza di tanti cristiani. Sono passati venti secoli. E quelli che si allontanano da Lui, con il loro comportamento, danno un’ulteriore testimonianza a Gesù: senza di Lui l’uomo precipita nel male: nel peccato, nel vizio, nell’egoismo, nella violenza, nell’odio. Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi: ecco l’avvenimento che dobbiamo riscoprire.

 

Il secondo atteggiamento è quello della contemplazione. Il primo era riscoprire, il secondo contemplare. I pastori dicono: «Vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2, 15): cioè meditiamo, contempliamo, preghiamo. E qui l’esempio più bello ci è dato dalla mamma di Gesù, da Maria: ella conservava nel cuore, meditava... E meditando che cosa scopriamo? Ce lo dice S. Paolo: «Quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo» (Tt 3,4-5). Scopriamo che Dio manifesta la sua bontà in Gesù Bambino. Manifesta la sua misericordia per ognuno di noi sappiamo di avere bisogno di misericordia nella vita. Ognuno sa, e può dare nome e cognome alle cose che sono nel proprio cuore e che hanno bisogno della misericordia di Dio. Chi non si sente mosso da tenerezza di fronte a un piccolo bambino? In Gesù Bambino Dio si mostra amabile, pieno di bontà, di mansuetudine. Veramente un Dio così possiamo amarlo con tutto il cuore. Dio manifesta la sua bontà per salvarci. E che cosa significa essere salvati? Significa entrare nella vita stessa di Dio, divenire figli adottivi di Dio mediante il battesimo. Questo è il grande significato del Natale: Dio si fa uomo perché noi possiamo diventare figli di Dio.

 

La Seconda Persona della Trinità si è fatto uomo, per divenire il fratello maggiore, il primogenito di una moltitudine di fratelli. E Dio ci salva dunque mediante il battesimo e ci fa entrare tutti come fratelli: contemplare questo mistero, contemplare il Bambino. E per questo, la catechesi che ci dà il presepe è tanto bella, perché ci fa vedere il Bambino tenero che ci annuncia la misericordia di Dio. Contemplare i presepi. E quando l’altro giorno ho benedetto i Bambinelli: è stato un “contemplare”. Il Bambinello del presepe è una figura, ma è una figura che ci fa pensare a questa grande misericordia di Dio che si è fatto Bambino.

 

E di fronte a questa realtà, il terzo atteggiamento è: annunciare. Questo è l’atteggiamento che ci aiuta ad andare avanti. I tre atteggiamenti che ci aiutano in questo momento, e andare avanti con questo. Come dobbiamo fare? Guardiamo ancora una volta i pastori: «I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro» (Lc 2,20). Se ne tornarono alla loro vita di tutti i giorni. Anche noi dobbiamo tornare alla nostra vita di tutti i giorni: il Natale passa. Ma dobbiamo tornare alla vita in famiglia, al lavoro, trasformati, dobbiamo tornare glorificando e lodando Dio per tutto quello che abbiamo udito e visto. Dobbiamo portare il lieto annunzio al mondo: Gesù è il nostro salvatore. E questo è un dovere. Perché ho speranza? Perché il Signore mi ha salvato. Ricordare quello che noi contempliamo e andare avanti ad annunciarlo. Annunciarlo con la parola, con la testimonianza della nostra vita. Tuttavia, le difficoltà e le sofferenze non possono oscurare la luce del Natale, che suscita una gioia intima che nessuno può toglierci.

 

Così, andiamo avanti, con questi tre atteggiamenti: riscoprirecontemplare e annunciare.

 

Cari fratelli e sorelle, vi rinnovo la gratitudine, vi rinnovo l’apprezzamento per il vostro lavoro. Tanti di voi sono un esempio per gli altri: lavorano per la famiglia, con uno spirito di servizio alla Chiesa e sempre con la gioia che viene dalla consapevolezza che Dio è sempre tra di noi, è il Dio-con-noi. E non dimenticatevi: la gioia è contagiosa e fa bene all’intera comunità lavorativa. Così come, per esempio, la tristezza che viene dal chiacchiericcio è brutta e tira giù. La gioia è contagiosa e fa crescere. Siate gioiosi, siate testimoni di gioia! E di cuore, Buon Natale a tutti.

 

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