Massime

Massime Corte d'Appello SCV

 

Causa N. 66/1999 — 19 febbraio 2000 — 23 maggio 2000, Bruno Pres. Prosperetti Rel. (annulla decisione del Collegio di conciliazione e arbitrato n. 2/99).

[In risposta ad istanza della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, il Cardinale Segretario di Stato comunicava che il Sovrano Pontefice dava commissione alla Corte di Cassazione “videndi in casu”.

La Corte di Cassazione (cf. massima riportata in calce) cassa la sentenza della Corte di Appello e conferma la decisione del Collegio di conciliazione e arbitrato (Bollettino n. 8).]

Ricorso — Motivo di ammissibilità — Raggiungimento scopo.

Buona fede — Procedure di conciliazione dell'ULSA.

Accertamento medico — Mancata informazione delle finalità — Vizio di   legittimità.

Il ricorso per legittimità, proposto ai sensi dell'art. 12 dello Statuto definitivo dell'ULSA, è ammissibile anche quando sia redatto in modo sommario e senza una compiuta articolazione dei motivi, a condizione che siaidoneo a raggiungere il suo scopo e, cioè, consenta l'individuazione delle ragioni che condizionano l'accertamento della fondatezza o no della domanda.

Il provvedimento con il quale l'Amministrazione dispone l'accertamento medico sull'idoneità al lavoro, anche se ispirato a legittima e doverosa autotutela e conforme a buona fede, è illegittimo quando manchi la previa comunicazione delle sue finalità. Sebbene gli artt. 38 e 39 del Regolamento Generale per il Personale dello Stato Città del Vaticano non contemplino un obbligo di preventiva comunicazione di quelle finalità, tale comunicazione condiziona la scelta del dipendente di avvalersi o no di un medico di fiducia. Ne deriva che la mancata comunicazione di quelle finalità impedisce si realizzi a pieno la garanzia approntata per il dipendente.

Pertanto, il paragrafo 2 dell'art. 38 del Regolamento Generale per il Personale dello Stato della Città del Vaticano, laddove prevede l'eventuale consulenza di un medico di fiducia, deve essere interpretato nel senso che l'accertamento medico dell'idoneità a svolgere lavoro proficuo, potendo influire pesantemente su una situazione giuridica fondamentale per la vita di un uomo come il proprio lavoro, postula necessariamente il contraddittorio e, quindi, la previa comunicazione dello scopo per cui quell'accertamento è stato disposto.

Nel caso di specie, il ripetuto invito a nominare un proprio medico di fiducia, essendo mancata la previa comunicazione dello scopo per cui la visita medica era stata disposta, non ha reso possibile, di fatto, la nomina di uno specialista competente e, di conseguenza, il contraddittorio previsto a garanzia del dipendente.

Massima della sentenza della Corte di Cassazione dello Stato della Città del Vaticano, causa n.23/2000, 24 marzo 2001-31 luglio 2001, Pompedda Pres. e Rel. che cassa la sentenza della Corte di Appello dello Stato della Città del Vaticano, causa N. 66/1999, 19 febbraio 2000 — 23 maggio 2000, Bruno Pres. Prosperetti Rel. (massima riportata in epigrafe) e conferma la decisione del Collegio di conciliazione e arbitrato dell'ULSA n. 2/99.

Straordinarietà della impugnativa alla Corte di Cassazione contro le sentenze della

Corte di Appello.

Obblighi dell'Amministrazione desumibili dall'interpretazione degli artt. 38 § 2 e 39 § 3

 del Regolamento Generale per il personale dello Stato della Città del Vaticano.

Competenza della Commissione medica. Competenza dell'Amministrazione — Limiti.

Garanzie del dipendente. Esercizio di facoltà.

Tutela sostanziale.

E' straordinario il giudizio demandato alla Corte di Cassazione dall'atto sovrano del Legislatore, tenuto conto che non sono soggette ad impugnativa (art. 12.3 dello Statuto dell'ULSA) le sentenze della Corte di Appello dello Stato della Città del Vaticano facenti seguito al ricorso per legittimità contro le decisioni del Collegio di conciliazione e arbitrato dell'ULSA.

Dal secondo comma del § 2 dell'art. 38 del Regolamento Generale per il personale dello Stato della Città del Vaticano (al quale fa esplicito rinvio il § 3 dell'art. 39) che dispone: “agli accertamenti sanitari può assistere un medico di fiducia del dipendente, se questi ne fa richiesta e ne assume le spese relative”, si deduce, da un lato, che quella disposizione attribuisce al dipendente soltanto una facoltà (“può ...se ne fa richiesta”) e, d'altro lato, che l'assistenza del medico di fiducia, dipendendo da una scelta del dipendente, è soltanto eventuale, onde l'accertamento medico è legittimo anche in sua assenza. Pertanto una corretta interpretazione della citata disposizione, che non prevede sia l'obbligo di comunicare al dipendente che la visita collegiale medica sarebbe funzionale all'accertamento di una inabilità permanente sia l'obbligo di comunicare la patologia che si presume abbia determinato quella inabilità, comporta che l'Amministrazione abbia soltanto l'obbligo di mettere il dipendente in grado di esercitare la facoltà di farsi assistere da un medico di fiducia, mentre la Commissione medica deve consentire a quest'ultimo di esercitare la sua funzione: obblighi che devono ritenersi adempiuti quando il dipendente sia invitato a sottoporsi alla visita collegiale medica con un preavviso tale da consentirgli di designare il suo medico di fiducia e di ottenerne l'assistenza.

L'Amministrazione non è tenuta, e al tempo stesso non è competente, a valutare preventivamente lo stato psico-fisico del dipendente, anche se tale valutazione fosse funzionale al fine limitato di dedurre la possibile inabilità o l'eventuale patologia. L'Amministrazione nel prendere atto dei sintomi che inducono a sospettare una possibile ed eventuale inabilità al servizio, deducendoli dal comportamento del dipendente considerato sulla base di criteri di comune esperienza può (e, al limite, ha il dovere di) chiedere la valutazione della Commissione medica, l'unica competente ad accertare sia l'esistenza di una patologia sia quella, eventuale, dell'invalidità al servizio; diversamente l'Amministrazione anticiperebbe, con grave atto di pregiudizio, senza averne competenza, una diagnosi e finirebbe per chiedere alla Commissione medica soltanto di confermare le valutazioni, che senza averne la competenza e quindi indebitamente, avrebbe già fatto proprie.

Le garanzie del dipendente non sono affievolite avendo questi la facoltà di farsi assistere da un medico di propria fiducia, facoltà che ha, in ogni caso, l'onere di esercitare responsabilmente a prescindere dalla consapevolezza delle ragioni che hanno determinato l'invito a sottoporsi a visita collegiale medica. (La sentenza in esame, nel caso di specie, invece, aveva dato per presupposta l'incapacità del dipendente di rendersi conto della sua situazione di salute, ritenendo che non sarebbe stato in grado di valutare l'opportunità di esercitare la facoltà di farsi assistere da un medico di fiducia se non quando fosse stato preventivamente avvertito della possibilità che la Commissione medica lo avesse dichiarato permanentemente inabile al servizio).

L'interpretazione delle disposizioni del Regolamento garantisce, pur sempre, al dipendente una tutela sostanziale in quanto se questi ritenga la valutazione della Commissione medica violativa, per qualsiasi ragione, del suo diritto a rimanere in servizio, può contestare quella valutazione in sede di ricorso all'ULSA dove il Collegio di conciliazione ed arbitrato, in caso sussistano le condizioni, ben può disporre una verifica di quella valutazione, ordinando eventualmente ulteriori accertamenti medici che, in quella fase, si svolgerebbero necessariamente in contraddittorio e con piena consapevolezza delle conseguenze che ne possano derivare.