Alcune parole di Papa Francesco sul lavoro

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Alcune parole di Papa Francesco sul lavoro

GENNAIO

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI MEMBRI DELL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE COSTRUTTORI EDILI (ANCE)

Sala Clementina 

Giovedì, 20 gennaio 2022

 

Catechesi sulla preghiera: 26. La preghiera e la Trinità. 2

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!!

(…)   Penso che anche per il vostro settore questo sia un periodo difficile. E in questi momenti è importante attingere alle motivazioni, alle scelte fondanti. Da parte mia, vorrei condividere con voi qualche insegnamento del Vangelo, che possa aiutarvi nel vostro lavoro. È una lettura cristiana dei valori a cui vi ispirate: concorrenza e trasparenza; responsabilità e sostenibilità; etica, legalità e sicurezza. (…)

Il Vangelo testimonia che Gesù, nella sua predicazione, ha utilizzato anche la metafora della costruzione per trasmettere i suoi messaggi. È il caso, ad esempio, del capitolo 6 del Vangelo di Luca (vv. 46-49), dove, tra l’altro, Gesù smaschera il comportamento ipocrita e pigro di chi si limita solo a parlare senza fare. Mostrando la sapienza dell’ingegnere edile, egli paragona i ciarlatani a coloro che costruiscono le case su un terreno sabbioso e senza fondamenta. Certo, Gesù non pensa a grandi palazzi, ma comunque fa notare che queste costruzioni sono fatte in riva al fiume, mentre il buon costruttore sa che alla prima esondazione una casa del genere è destinata ad essere spazzata via.

La sua parabola però continua con il rovescio della medaglia: «Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, […] è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia» (vv. 47-48). L’immagine è ancora più interessante se pensiamo che un tale costruttore non solo ha fatto la cosa giusta nel momento presente, ma ha difeso la casa da possibili alluvioni future. Uno potrebbe dire: ma non è mai successo! Sì, però potrebbe succedere. È quello a cui assistiamo oggi con il cambiamento climatico: succedono cose che mai sono successe.

Nella predicazione di Gesù, il credente è uno che non si limita ad apparire esteriormente cristiano, ma opera fattivamente da cristiano. Ed è proprio questa “coerenza operativa” che gli consente di edificare sé stesso non solo nei tempi normali della vita, ma di restare tale anche nei momenti difficili. Questo significa pure che la fede non ci mette al riparo dalle intemperie, però, accompagnata dalle buone opere, ci fortifica e ci rende capaci di resistervi. Ed è proprio in questo senso che occorre custodire e incarnare quotidianamente i valori che ispirano la vostra adesione all’Associazione.

Concorrenza e trasparenza. La concorrenza da sola non basta. Nella logica utilitaristica del mercato può spingere alla contrapposizione fino all’eliminazione dell’altro. Illude che si possa vincere sull’altro o che la sconfitta dell’altro sia da mettere in conto nell’andamento dell’economia. Quando ciò accade, si mette a repentaglio il tessuto sociale di fiducia che permette al mercato stesso di funzionare adeguatamente. La concorrenza dev’essere stimolo a fare meglio e bene, non volontà di dominio e di esclusione. Per questo è fondamentale la trasparenza dei processi decisionali e delle scelte economiche. Concorrenza e trasparenza, insieme. Consente di evitare una concorrenza sleale, che in campo economico e lavorativo spesso significa perdita di posti di lavoro, sostegno al lavoro nero o al lavoro sottopagato. Si finisce così per favorire forme di corruzione che si alimentano nel torbido dell’illegalità e dell’ingiustizia. E questa non è una strada giusta: è una strada che ammala, non va bene.

Responsabilità e sostenibilità. Mai come in questo tempo sentiamo parlare di sostenibilità: chiama in causa la capacità di rigenerazione di ogni ecosistema. Nel settore edilizio è fondamentale l’utilizzo di materiali che offrano sicurezza alle persone. Nello stesso tempo, bisogna evitare di sfruttare l’ambiente cooperando a rendere invivibili alcuni territori particolarmente sfruttati. Ogni impresa può offrire il proprio contributo responsabile perché il lavoro sia sostenibile.

Inoltre, la sostenibilità ha a che fare con la bellezza dei luoghi e con la qualità delle relazioni. Vorrei riprendere qui una riflessione presente nell’enciclica Laudato si’ sul rapporto tra gli spazi urbani e il comportamento umano: «Coloro che progettano edifici, quartieri, spazi pubblici e città, hanno bisogno del contributo di diverse discipline che permettano di comprendere i processi, il simbolismo e i comportamenti delle persone. Non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco. Anche per questo è tanto importante che il punto di vista degli abitanti del luogo contribuisca sempre all’analisi della pianificazione urbanistica» (n. 150). Possa il vostro lavoro aiutare le comunità a rafforzare legami di solidarietà, di cooperazione, di aiuto reciproco.

Etica, legalità e sicurezza. Lo scorso anno i morti sul lavoro sono stati tanti, troppi. Non sono numeri, sono persone. Anche i cantieri edili hanno conosciuto tragedie che non possiamo ignorare. Purtroppo, se si guarda alla sicurezza dei luoghi di lavoro come a un costo, si parte da un presupposto sbagliato. La vera ricchezza sono le persone. Mi viene in mente quello che accadeva nella costruzione della torre di Babele. In quel tempo, i mattoni erano difficili da fare, perché dovevano prendere la paglia, l’erba, poi fare la massa, cuocere, un lavoro enorme. Un mattone era, non dico una fortuna, ma costava. Se nella costruzione della torre cadeva un mattone, era una tragedia, e l’operaio che era stato il responsabile veniva punito. Invece, se cadeva un operaio, non succedeva niente. Questo deve farci pensare! La vera ricchezza sono le persone: senza di esse non c’è comunità di lavoro, non c’è impresa, non c’è economia. La sicurezza dei luoghi di lavoro significa custodia delle risorse umane, che hanno valore inestimabile agli occhi di Dio e anche agli occhi del vero imprenditore. Per questo, la legalità va vista come tutela del patrimonio più alto che sono le persone. Lavorare in sicurezza permette a tutti di esprimere il meglio di sé guadagnando il pane quotidiano. Più curiamo la dignità del lavoro e più siamo certi che aumenterà la qualità e la bellezza delle opere realizzate.

San Giuseppe, patrono dei lavoratori, vi sostenga in questo vostro impegno. Anch’io vi accompagno con la mia preghiera e la mia benedizione. E vi chiedo di portare avanti quello che ha detto il Presidente: di pregare per me. Grazie.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI MEMBRI DELL'ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI CHIMICI DEL CUOIO

Sala Clementina

Sabato, 29 gennaio 2022

 

Cari amici, buongiorno e benvenuti!

A me piace vedere le mamme lì, che coccolano i bambini. È bello quando vengono con i bambini. Se vogliono camminare, lasciateli, che facciano quello che vogliono; e se hanno fame, che mangino! Loro sono i re.

 Ringrazio il Presidente per le sue parole cortesi e per avermi presentato in breve il vostro lavoro. Saluto voi qui presenti e tutti i soci dell’Associazione Italiana dei Chimici del Cuoio.

Sono contento di ricevervi, per diversi motivi. Anzitutto perché siete una categoria di lavoratori molto specifica, che nel grande “poliedro” della società globale offre un contributo originale e caratteristico. La vostra professione applica le conoscenze scientifiche e tecniche a un’attività artigianale che ha un’antica tradizione, sia in Italia sia in altri Paesi, tra cui anche il mio, l’Argentina. Da giovane ho studiato in un istituto tecnico di indirizzo chimico, e questo mi avvicina un po’ alla vostra categoria.

In questo momento di crisi economica e sociale assai complessa, colgo anche questa occasione per esprimere la vicinanza mia e della Chiesa al mondo del lavoro. Molti lavoratori e lavoratrici e molte famiglie vivono situazioni difficili, aggravate dalla pandemia. Ma la pandemia non può e non deve diventare un alibi per giustificare omissioni nella giustizia o nella sicurezza. Al contrario, la crisi può essere affrontata come un’opportunità per crescere insieme nella solidarietà e nella qualità del lavoro. L’esempio e l’intercessione di San Giuseppe vi aiutino a non cedere allo scoraggiamento, a valorizzare con creatività i vostri talenti e la vostra grande esperienza per andare avanti e aprire vie nuove. A tale scopo è molto importante far incontrare la saggezza degli anziani e l’entusiasmo dei giovani. Che si incontrino, questo è il segreto! Immagino i giovani che si appassionano a un settore originale come il vostro, e hanno bisogno di trovare “vecchi del mestiere”, che hanno tanto da insegnare, e non solo sul piano tecnico, ma anche su quello umano. Per me la sfida di questo momento è l’incontro fra i nonni e i nipoti, scavalcando i genitori forse, ma quello è un incontro-chiave e dobbiamo lavorare perché i giovani incontrino i vecchi. È una sfida di questo momento.

C’è un altro aspetto che voglio toccare con voi perché è un punto critico e so che vi sta a cuore – lo richiamava anche il vostro Presidente. Si tratta dell’impatto ambientale di attività che, come la vostra, utilizzano sostanze chimiche per trattare i materiali, nel vostro caso i pellami destinati a diventare borse, scarpe e così via – tante cose che usiamo ogni giorno, e non pensiamo al lavoro che c’è dietro!  Anche voi, dunque, siete chiamati a dare il vostro specifico contributo alla cura della casa comune; e potete farlo proprio nel modo di impostare il vostro stesso lavoro. Per questa finalità è molto prezioso il fare associazione, perché si mettono in comune le conoscenze, le esperienze, come pure gli aggiornamenti giuridici e tecnici; e così ci si aiuta a crescere insieme in uno stile di responsabilità sociale ed ecologica. E questo è molto importante! Oggi abbiamo più coscienza della responsabilità ecologica; siamo cresciuti in questo, è una grande cosa; siamo cresciuti in questo.

Carissimi, vi ringrazio per questa visita. Auguro ogni bene per il vostro lavoro e per l’attività associativa; benedico voi e le vostre famiglie. E vi chiedo per favore di non dimenticarvi di pregare per me, ne ho bisogno. Grazie!

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FEBBRAIO

LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 ALLA SIG.A JOLANTA SZPILAREWICZ,

 PRESIDENTE DELLA CONFERENZA MONDIALE DEGLI ISTITUTI SECOLARI

 IN OCCASIONE DEL 75° ANNIVERSARIO DELLA COSTITUZIONE APOSTOLICA

PROVIDA MATER ECCLESIA

 

(…)

La secolarità consacrata è chiamata a tradurre in pratica le immagini evangeliche del lievito e del sale. Siate lievito di verità, di bontà e di bellezza, facendo fermentare la comunione con i fratelli e le sorelle che vi sono accanto, perché solo con la fraternità si sconfigge il virus dell'individualismo (cfr Fratelli tutti, 105). E siate sale che dà gusto, perché senza sapore, desiderio e stupore la vita resta insipida e le iniziative rimangono sterili. Vi aiuterà fare memoria di quanto la prossimità e la vicinanza siano state le vie della vostra credibilità, e di come la professionalità vi abbia conferito “evangelica autorità” negli ambienti lavorativi.

(…)

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MARZO

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI MEMBRI DELL'ASSOCIAZIONE "ANIMA PER IL SOCIALE NEI VALORI D'IMPRESA"

Sala Clementina

Lunedì, 14 marzo 2022

 

Gentili Signore e Signori!

(…)

Permettetemi, infine, un consiglio “da vescovo”: se volete essere “anima” nel mondo dell’impresa, non tralasciate di avere cura della vostra propria anima, quella che ci viene da Dio. E per questo occorre resistere alla tentazione dell’attivismo e trovare tempi per riflettere, per pensare, per contemplare. A volte l’attivismo ci distrugge l’interiorità; non parlo di religiosità ma di interiorità umana. Poi, quella per una religione è un’opzione personale, ma prima c’è l’interiorità umana. Anche per questo l’associazione può essere utile, con delle proposte. Ma è soprattutto un’esigenza personale: ciascuno, se vuole animare, deve lasciarsi animare interiormente dal bene, dal bello e dal vero. Lo dimostrano le testimonianze di imprenditori italiani che hanno saputo far crescere non solo i profitti ma anche la vita, la qualità della vita, la qualità del lavoro, con libertà e creatività, perché avevano una coscienza illuminata, una interiorità illuminata. E questo ti porta alla creatività, ti porta – mi permetto la parola – alla poesia. Anche il lavoro dell’uomo è poesia: fare le cose.

(…)

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE DELL'ISTITUTO FIGLIE DI MARIA SS. DELL'ORTO

Sala del Concistoro

Sabato, 26 marzo 2022

 

Care Sorelle, buongiorno e benvenute!

Sono contento di accogliervi in occasione del vostro XX Capitolo Generale, che avete iniziato alla vigilia della solennità di San Giuseppe, buon inizio! Con San Giuseppe per mano, sempre si va bene, sempre.

Il Capitolo, che in ogni famiglia religiosa rappresenta un momento fondamentale del cammino della sua vita, significa incontro, significa dialogo, significa responsabilità, significa comunione evangelica. Non significa chiacchiericcio, questo no. Mi piace pensare che abbiate voluto affidare in custodia a San Giuseppe i vostri lavori e il loro buon esito; a Lui, l’artigiano di Nazaret, che anche con il suo lavoro ha partecipato al disegno di salvezza e lo ha servito fedelmente, da uomo giusto qual era.

Questo modello di San Giuseppe lo ritroviamo anche nel vostro Fondatore, Sant’Antonio Maria Gianelli. Qualcuno lo chiama “il Santo di ferro”, ma era molto umano. Il ferro è riferito alla santità, ma è una persona molto tenera: non bisogna sbagliare con questa qualifica! È stato un apostolo del Vangelo del lavoro, elemento essenziale della vita personale, familiare e sociale. È stato un operaio zelante nel campo del Signore, dedito al servizio alla Parola di Dio, sia con la predicazione sia nelle opere. Nella predicazione ha testimoniato e annunciato la fede nella provvidenza di Dio. Con le opere di misericordia ha mostrato la via della santità e ha attirato a percorrerla, dando esempio di carità concreta e premurosa per gli ultimi e gli emarginati della società. È stato un esempio in questo, un bell’esempio.

Con questo scopo diede vita nel 1829, a Chiavari dove era parroco, a un servizio caritativo affidato ad alcune donne, chiamate le “Signore della Carità”, da cui prese forma il vostro Istituto, le Figlie di Maria Santissima dell’Orto, conosciute come Gianelline. Vi siete diffuse in breve tempo in diverse parti del mondo e avete cercato di realizzare la vocazione ricevuta, compiendo la missione evangelizzatrice con il lavoro della carità.

Care sorelle, il tema che avete scelto per questo Capitolo generale: “Attente al mondo, con il cuore in Dio”, traduce bene l’ispirazione gianelliana del prendersi cura, del farsi prossimo, del fare il bene, radicato nella vita consacrata al Signore. Una tensione: stare in Dio ma andare alle periferie, sempre alle periferie più bisognose. E lì testimoniamo Dio.

Certamente vi siete chieste in che modo rispondere alla sfida attuale di una cultura che non è così, è una cultura dell’autoreferenzialità, è una cultura, direi, un po’ del “trucco”, dove è più importante truccarsi che crescere, che andare avanti; una cultura dello specchio, l’autoreferenzialità. E questo è brutto. Una cultura, questa dell’autoreferenzialità, che è un po’ egotica, ci porta all’indifferenza, a non prenderci cura degli altri, a guardare da un’altra parte, all’egoismo, e questo turba l’ordine delle relazioni umane e apre alle tante scorciatoie della schiavitù dell’ingiustizia, dello sfruttamento, che offendono la dignità delle persone. Voi che lavorate nella vita, sapete quanto sfruttamento c’è oggi in questa cultura nei confronti dei giovani, dei bambini – anche con il lavoro minorile – delle donne sfruttate, anche dei vecchi: un modo di sfruttarli è lasciarli da parte. E contro questa cultura c’è il vostro istituto che con la carità può andare dappertutto.

(…) Con queste radici, con questa solidità interiore, voi potete andare per le strade del mondo e potete farvi, come vi proponete, “attente al mondo”. Che cosa significa questo? Vorrei suggerirvi due semplici tracce di riflessione e di cammino.

La prima è questa: attento al mondo – in senso evangelico – è chi sa stupirsi, chi è aperto a cogliere i semi del regno di Dio presenti nella realtà, perché sa che lo Spirito Santo è sempre all’opera e lavora liberamente e in maniera spesso sorprendente. “Attenzione” dunque non come giudizio, o pregiudizio, non come sospetto o diffidenza o paura, ma come sano realismo, come semplicità, saper prendere le situazioni e le persone così come sono e accompagnarle nel cammino della vicinanza a Dio e della maturazione nel Signore.

La seconda sottolineatura: attento al mondo è chi non rimane “al balcone”. Questa è una delle cose più brutte: un cristiano che è “al balcone”. In spagnolo diciamo che balconea, un atteggiamento di guardare le cose in maniera asettica, che non entra in contatto con il mondo. Non rimanere al balcone, non osservare con distacco, ma avvicinarsi, chinarsi, toccare con mano. Toccare con mano ci umanizza. Io di solito, nelle confessioni o nel dialogo, domando a una persona: “Ma, mi dica: lei fa l’elemosina?” – “Sì, padre, io faccio l’elemosina” – “E mi dica, quando lei fa l’elemosina, tocca la mano della persona che chiede, la guarda negli occhi?” – “Ma, non so…”. Questa elemosina è una cosa non tua, meccanica. Se tu sei capace di toccare, di guardare agli occhi, così è bella. È importante questo: non balconeare, toccare con mano. Attenzione dunque come vicinanza, farsi prossimo, prendersi cura. E qui, care sorelle, avete l’ottima scuola del vostro Fondatore, che vi ha insegnato a essere buone samaritane, sempre in viaggio ma pronte a fermarsi per prendersi cura dei poveri, dei feriti della vita, fasciare le piaghe e ascoltare, ascoltare tanto, per guarire dall’indifferenza, per guarire dalla solitudine, e per restituire dignità. Ogni volta che noi ci avviciniamo con la carità, con l’amore a una persona, le restituiamo dignità. La dignità di Cristo, che viene con il nostro gesto di carità.

E questo cominciando dalla propria famiglia, cioè dalle vostre comunità! Ognuna di voi può domandarsi: “Come posso essere ‘attenta al mondo’ se non so essere attenta alla mia vicina di camera, alla mia compagna di lavoro?”. Lo Spirito Santo, per intercessione della Vergine Maria, vi aiuti affinché nelle vostre comunità si respiri un clima sereno di fraternità, un calore di accoglienza, di comprensione, di magnanimità. Anche tra noi, a casa, infatti, ci sono le ferite, c’è la solitudine, ci sono le fatiche fisiche e morali. Un nemico di questa fraternità è il chiacchiericcio. Io so che voi non lo fate, siete tutte sante… Ma è così facile scivolare sul chiacchiericcio! “Hai visto cosa ha detto quella?”, e così comincia il chiacchiericcio… E la poveretta è sepolta dalle nostre parole. Per questo, vi darò un regalo. È un piccolo studio che ha fatto un Nunzio Apostolico sul chiacchiericcio. Da leggere, fa bene. Il chiacchiericcio distrugge l’identità.

(…)

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APRILE

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO

A MALTA

(2-3 APRILE 2022)

INCONTRO CON LE AUTORITÀ, LA SOCIETÀ CIVILE E IL CORPO DIPLOMATICO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

"Grand Council Chamber" del Palazzo del Gran Maestro a La Valletta
Sabato, 2 aprile 2022

 

Signor Presidente della Repubblica,
Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
distinte Autorità religiose e civili,
insigni Rappresentanti della società e del mondo della cultura,
Signore e Signori!

Vi saluto cordialmente e ringrazio il Signor Presidente per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti i cittadini. I vostri antenati diedero ospitalità all’Apostolo Paolo mentre era diretto a Roma, trattando lui e i suoi compagni di viaggio «con rara umanità» (At 28,2); ora, venendo da Roma, sperimento anch’io la calorosa accoglienza dei maltesi, tesoro che nel Paese si tramanda di generazione in generazione.

Per la sua posizione Malta può essere definita il cuore del Mediterraneo. Ma non solo per la posizione: l’intreccio di avvenimenti storici e l’incontro di popolazioni fanno da millenni di queste isole un centro di vitalità e di cultura, di spiritualità e di bellezza, un crocevia che ha saputo accogliere e armonizzare influssi provenienti da molte parti. Questa diversità di influssi fa pensare alla varietà dei venti che caratterizzano il Paese. Non a caso nelle antiche rappresentazioni cartografiche del Mediterraneo la rosa dei venti era spesso collocata vicino all’isola di Malta. Vorrei prendere in prestito proprio l’immagine della rosa dei venti, che posiziona le correnti d’aria in base ai quattro punti cardinali, per delineare quattro influssi essenziali per la vita sociale e politica di questo Paese.

È prevalentemente da nord-ovest che i venti soffiano sulle isole maltesi. Il nord richiama l’Europa, in particolare la casa dell’Unione Europea, edificata perché vi abiti una grande famiglia unita nel custodire la pace. Unità e pace sono i doni che il popolo maltese chiede a Dio ogni volta che intona l’inno nazionale. La preghiera scritta da Dun Karm Psaila recita infatti: «Dona, Dio Onnipotente, saggezza e misericordia a chi governa, salute a chi lavora, e assicura al popolo maltese unità e pace». La pace segue l’unità e sgorga da essa. Ciò richiama l’importanza di lavorare insieme, di anteporre la coesione a ogni divisione, di rinsaldare radici e valori condivisi che hanno forgiato l’unicità della società maltese. (…)

Alla base di una crescita solida c’è la persona umana, il rispetto della vita e della dignità di ogni uomo e di ogni donna. Conosco l’impegno dei maltesi nell’abbracciare e proteggere la vita. Già negli Atti degli Apostoli vi distinguevate per salvare tanta gente. Vi incoraggio a continuare a difendere la vita dall’inizio fino al suo termine naturale, ma anche a custodirla in ogni momento dallo scarto e dalla trascuratezza. Penso specialmente alla dignità dei lavoratori, degli anziani e dei malati. E ai giovani, che rischiano di buttare via il bene immenso che sono, inseguendo miraggi che lasciano dentro tanto vuoto. È quello che provocano il consumismo esasperato, la chiusura alle necessità degli altri e la piaga della droga, che soffoca la libertà creando dipendenza. Proteggiamo la bellezza della vita!

(...)

Ma la soluzione alle crisi di ciascuno è prendersi cura di quelle di tutti, perché i problemi globali richiedono soluzioni globali. Aiutiamoci ad ascoltare la sete di pace della gente, lavoriamo per porre le basi di un dialogo sempre più allargato, ritorniamo a riunirci in conferenze internazionali per la pace, dove sia centrale il tema del disarmo, con lo sguardo rivolto alle generazioni che verranno! E gli ingenti fondi che continuano a essere destinati agli armamenti siano convertiti allo sviluppo, alla salute e alla nutrizione.

Guardando ancora ad est, vorrei infine rivolgere un pensiero al vicino Medio Oriente, che si riflette nella lingua di questo Paese, la quale si armonizza con altre, quasi a ricordare la capacità dei maltesi di generare benefiche convivenze, in una sorta di convivialità delle differenze. Di questo ha bisogno il Medio Oriente: il Libano, la Siria, lo Yemen e altri contesti dilaniati da problemi e violenza. Malta, cuore del Mediterraneo, continui a far pulsare il battito della speranza, la cura per la vita, l’accoglienza dell’altro, l’anelito di pace, con l’aiuto di Dio, il cui nome è pace.

Dio benedica Malta e Gozo!

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI MEMBRI DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA TUTELA DEI MINORI

Venerdì, 29 aprile 2022

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Benvenuti!

Sono lieto di darvi il benvenuto dopo la conclusione della vostra assemblea plenaria. Ringrazio il Cardinale O’Malley per le sue parole di introduzione; e ringrazio tutti voi per la dedizione al lavoro di protezione dei bambini, sia nella vostra vita professionale sia nel servizio ai fedeli. I minori e le persone vulnerabili sono oggi più sicuri nella Chiesa anche grazie al vostro impegno. Grazie davvero. E vorrei ringraziare il “gran testardo” di questa causa che è il Cardinale O’Malley, che va avanti contro tutto, ma l’ha portata avanti. Grazie, grazie!

È un servizio, quello a voi affidato, che chiede di essere portato avanti con cura. C’è bisogno della continua attenzione della Commissione, affinché la Chiesa sia non solo luogo sicuro per i minori e luogo di guarigione, ma risulti pienamente affidabile nel promuovere i loro diritti in tutto il mondo. Infatti, non mancano purtroppo situazioni in cui è minacciata la dignità dei bambini, e questo dovrebbe essere una preoccupazione per tutti i fedeli e tutte le persone di buona volontà.

A volte, la realtà dell’abuso e il suo impatto devastante e permanente sulla vita dei piccoli, sembrano sopraffare gli sforzi di quanti cercano di rispondere con amore e comprensione. La strada verso la guarigione è lunga, è difficile, richiede una speranza ben fondata, la speranza in Colui che è andato alla croce e oltre la croce. Gesù risorto ha portato, e porta per sempre, le cicatrici della sua crocifissione nel suo corpo glorificato. Queste piaghe ci dicono che Dio ci salva non “saltando” le nostre sofferenze, ma attraverso le nostre sofferenze, trasformandole con la forza del suo amore. Il potere di guarigione dello Spirito di Dio non ci inganna; la promessa di nuova vita da parte di Dio non viene meno. Dobbiamo solo avere fede in Gesù risorto e posare la nostra vita nelle ferite del suo corpo risorto.

L’abuso, in ogni sua forma, è inaccettabile. L’abuso sessuale sui bambini è particolarmente grave perché offende la vita mentre sta sbocciando in quel momento. Invece di fiorire, la persona abusata viene ferita, a volte anche indelebilmente. Recentemente ho ricevuto una lettera di un padre, il cui figlio è stato abusato e, a causa di questo, non è stato in grado di uscire dalla sua stanza per molti anni, portando impresse quotidianamente le conseguenze dell’abuso, anche nella famiglia. Le persone abusate si sentono, a volte, come intrappolate in mezzo tra la vita e la morte. Sono realtà che non possiamo rimuovere, per quanto risultino dolorose.

La testimonianza dei sopravvissuti rappresenta una ferita aperta nel corpo di Cristo che è la Chiesa. Vi esorto a lavorare diligentemente e coraggiosamente per far conoscere queste ferite, a cercare coloro che ne soffrono e a riconoscere in queste persone la testimonianza del nostro Salvatore sofferente. La Chiesa infatti conosce il Signore risorto nella misura in cui lo segue come Servo sofferente. Questa è la strada per tutti noi: vescovi, superiori religiosi, presbiteri, diaconi, persone consacrate, catechisti, fedeli laici. Ogni membro della Chiesa, secondo il proprio stato, è chiamato ad assumersi la responsabilità di prevenire gli abusi e lavorare per la giustizia e la guarigione.

Ora vorrei dirvi una parola riguardo al vostro futuro. Con la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium - ne ha parlato il Cardinale - ho formalmente istituito la Commissione come parte della Curia Romana, nell’ambito del Dicastero per la Dottrina della Fede (cfr n. 78). Forse qualcuno potrebbe pensare che questa collocazione possa mettere a rischio la vostra libertà di pensiero e di azione, o forse anche togliere importanza alle questioni di cui vi occupate. Questa non è la mia intenzione e non è la mia aspettativa. E vi invito a vigilare affinché ciò non accada.

La Commissione per la Tutela dei Minori è istituita presso il Dicastero che si occupa degli abusi sessuali da parte dei membri del clero. Nello stesso tempo, ho distinto la vostra dirigenza e il vostro personale, e continuerete a relazionarvi direttamente con me mediante il vostro Presidente Delegato. È [collocata] lì, perché non si poteva fare una “commissione satellite” che girasse senza essere aggrappata all’organigramma. È lì, ma con un presidente proprio nominato dal Papa. Desidero che voi proponiate i metodi migliori affinché la Chiesa protegga i minori e le persone vulnerabili e aiuti i sopravvissuti a guarire, tenendo conto che la giustizia e la prevenzione sono complementari. Infatti, il vostro servizio fornisce una visione proattiva e prospettica delle migliori pratiche e procedure che possono essere realizzate in tutta la Chiesa.

Importanti semi sono stati gettati in questo senso, da molte parti, ma c’è ancora molto da fare. La Costituzione Apostolica segna un nuovo inizio. [Vi pone] nell’organigramma della Curia in quel Dicastero, ma indipendenti, con un presidente nominato dal Papa. Indipendenti. È vostro compito espandere la portata di questa missione in modo che la tutela e la cura delle persone che hanno subito abusi diventi norma in ogni ambito della vita della Chiesa. La vostra stretta collaborazione con il Dicastero per la Dottrina della Fede e con altri Dicasteri dovrebbe arricchire il vostro lavoro ed esso, a sua volta, arricchire quello della Curia e delle Chiese locali. Come questo possa avvenire nel modo più efficace, lo lascio alla Commissione e al Dicastero, ai Dicasteri. Operando insieme, questi danno attuazione concreta al dovere della Chiesa di proteggere quanti si trovano nella sua responsabilità. Tale dovere è basato sulla concezione della persona umana nella sua intrinseca dignità, con speciale attenzione per i più vulnerabili. L’impegno a livello della Chiesa universale e delle Chiese particolari attua il piano di protezione, guarigione e giustizia, secondo le rispettive competenze.

I semi che sono stati sparsi stanno cominciando a dare buoni frutti. L’incidenza degli abusi sui minori da parte del clero ha evidenziato un calo per diversi anni in quelle parti del mondo dove sono disponibili dati e risorse affidabili. Annualmente, vorrei che mi preparaste un rapporto sulle iniziative della Chiesa per la protezione dei minori e degli adulti vulnerabili. Questo potrà essere difficile all’inizio, ma vi chiedo di incominciare da dove sarà necessario in modo da poter fornire un rapporto affidabile su ciò che sta accadendo e su ciò che deve cambiare, in modo che le autorità competenti possano agire. Tale rapporto sarà un fattore di trasparenza e responsabilizzazione e – mi auguro – darà un chiaro riscontro dei nostri progressi in questo impegno. Se i progressi non dovessero esserci, i fedeli continuerebbero a perdere fiducia nei loro pastori, rendendo sempre più difficile l’annuncio e la testimonianza del Vangelo.

Ci sono anche tuttavia bisogni più immediati che la Commissione può aiutare ad affrontare, soprattutto per il benessere e la pastorale delle persone che hanno subito abusi. Ho seguito con interesse i modi in cui la Commissione, fin dalla sua nascita, ha fornito luoghi di ascolto e di incontro con le vittime e i sopravvissuti. Siete stati di grande aiuto nella mia missione pastorale verso coloro che si sono rivolti a me per le loro dolorose esperienze. Per questo vi esorto ad aiutare le Conferenze Episcopali – e questo è molto importante: aiutare e sorvegliare in dialogo con le conferenze episcopali - a realizzare appositi centri dove le persone che hanno subito abusi e i loro famigliari possano trovare accoglienza e ascolto ed essere accompagnate in un cammino di guarigione e di giustizia, come è indicato nel Motu Proprio Vos estis lux mundi (cfr Art. 2). Tale impegno sarà anche espressione dell’indole sinodale della Chiesa, di comunione, di sussidiarietà. Non dimenticare la riunione che abbiamo avuto quasi tre anni fa con i Presidenti delle Conferenze episcopali. Loro devono costituire le commissioni e tutti i mezzi per portare avanti i processi del prendersi cura delle persone abusate, con tutti i metodi che avete, e anche degli abusatori, come punirli. E voi dovete sorvegliare su questo. Mi raccomando, per favore.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio di cuore per tutto il lavoro che avete fatto. Prego per voi e vi chiedo di pregare per me, perché questo lavoro non è facile. Grazie! Che Dio continui a riversare su di voi le sue benedizioni. Che Dio vi benedica, grazie!

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MAGGIO

REGINA CAELI

Piazza San Pietro

Domenica, 1° maggio 2022

 

(...)

E oggi è la festa del lavoro. Che sia stimolo a rinnovare l’impegno perché dovunque e per tutti il lavoro sia dignitoso. E che dal mondo del lavoro venga la volontà di far crescere un’economia di pace. E vorrei ricordare gli operai morti nel lavoro: una tragedia molto diffusa, forse troppo.

(…)

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REGINA CAELI

Piazza San Pietro

Domenica, 8 maggio 2022

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il Vangelo della Liturgia di oggi ci parla del legame che c’è tra il Signore e ciascuno di noi (cfr Gv 10,27-30). Per farlo, Gesù utilizza un’immagine tenera, un’immagine bella, quella del pastore che sta con le pecore. E la spiega con tre verbi: «Le mie pecore – dice Gesù – ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (v. 27). Tre verbi: ascoltare, conoscere, seguire. Vediamo questi tre verbi.

Anzitutto le pecore ascoltano la voce del pastore. L’iniziativa viene sempre dal Signore; tutto parte dalla sua grazia: è Lui che ci chiama alla comunione con Lui. Ma questa comunione nasce se noi ci apriamo all’ascolto; se rimaniamo sordi non ci può dare questa comunione. Aprirsi all’ascolto perché ascoltare significa disponibilità, significa docilità, significa tempo dedicato al dialogo. Oggi siamo travolti dalle parole e dalla fretta di dover sempre dire e fare qualcosa, anzi quante volte due persone stanno parlando e una non aspetta che l’altra finisca il pensiero, la taglia a metà cammino, risponde… Ma se non la si lascia parlare, non c’è ascolto. Questo è un male del nostro tempo. Oggi siamo travolti dalle parole, dalla fretta di dover sempre dire qualcosa, abbiamo paura del silenzio. Quanta fatica si fa ad ascoltarsi! Ascoltarsi fino alla fine, lasciare che l’altro si esprima, ascoltarsi in famiglia, ascoltarsi a scuola, ascoltarsi al lavoro, e persino nella Chiesa! Ma per il Signore anzitutto occorre ascoltare. Lui è la Parola del Padre e il cristiano è figlio dell’ascolto, chiamato a vivere con la Parola di Dio a portata di mano. Chiediamoci oggi se siamo figli dell’ascolto, se troviamo tempo per la Parola di Dio, se diamo spazio e attenzione ai fratelli e alle sorelle. Se sappiamo ascoltare fino a che l’altro si possa esprimere fino alla fine, senza tagliare il suo discorso. Chi ascolta gli altri, sa ascoltare anche il Signore, e viceversa. E sperimenta una cosa molto bella, cioè che il Signore stesso ascolta: ci ascolta quando lo preghiamo, quando ci confidiamo con Lui, quando lo invochiamo. (…)

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UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 11 maggio 2022

 

Catechesi sulla Vecchiaia: 9. Giuditta. Una giovinezza ammirevole, una vecchiaia generosa.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parleremo di Giuditta, una eroina biblica. La conclusione del libro che porta il suo nome – ne abbiamo ascoltato un brano – sintetizza l’ultima parte della vita di questa donna, che difese Israele dai suoi nemici. Giuditta è una giovane e virtuosa vedova giudea che, grazie alla sua fede, alla sua bellezza e alla sua astuzia, salva la città di Betulia e il popolo di Giuda dall’assedio di Oloferne, generale di Nabucodonosor re d’Assiria, nemico prepotente e sprezzante di Dio. E così, con il suo modo furbo di agire, è capace di sgozzare il dittatore che era contro il Paese. Era coraggiosa, questa donna, ma aveva fede.

Dopo la grande avventura che la vede protagonista, Giuditta torna a vivere nella sua città, Betulia, dove vive una bella vecchiaia fino a centocinque anni. Era giunto per lei il tempo della vecchiaia come arriva per molte persone: a volte dopo un’intensa vita di lavoro, a volte dopo un’esistenza avventurosa, o di grande dedizione. L’eroismo non è soltanto quello dei grandi eventi che cadono sotto i riflettori, per esempio quello di Giuditta di avere ucciso il dittatore: ma spesso l’eroismo si trova nella tenacia dell’amore riversato in una famiglia difficile e a favore di una comunità minacciata.

Giuditta visse più di cent’anni, una benedizione particolare. Ma non è raro, oggi, avere tanti anni ancora da vivere dopo la stagione del pensionamento. Come interpretare, come far fruttare questo tempo che abbiamo a disposizione? Io vado in pensione oggi, e saranno tanti anni, e cosa posso fare, in questi anni, come posso crescere – in età va da sé – ma come posso crescere in autorità, in santità, in saggezza?

La prospettiva della pensione coincide per molti con quella di un meritato e desiderato riposo da attività impegnative e faticose. Ma accade anche che la fine del lavoro rappresenti una fonte di preoccupazione e sia atteso con qualche trepidazione: “Che farò adesso che la mia vita si svuoterà di ciò che l’ha riempita per tanto tempo?”: questa è la domanda. Il lavoro quotidiano significa anche un insieme di relazioni, la soddisfazione di guadagnarsi da vivere, l’esperienza di avere un ruolo, una meritata considerazione, un tempo pieno che va al di là del semplice orario di lavoro.

Certo, c’è l’impegno, gioioso e faticoso, di accudire i nipoti, e oggi i nonni hanno un ruolo molto grande in famiglia per aiutare a crescere i nipoti; ma sappiamo che oggi di figli ne nascono sempre meno, e i genitori sono spesso più distanti, più soggetti a spostamenti, con situazioni di lavoro e di abitazione non favorevoli. A volte sono anche più restii nell’affidare ai nonni spazi di educazione, concedendo solo quelli strettamente legati al bisogno di assistenza. Ma qualcuno mi diceva, un po’ sorridendo con ironia: “Oggi, i nonni, in questa situazione socio-economica, sono diventati più importanti, perché hanno la pensione”. Ci sono nuove esigenze, anche nell’ambito delle relazioni educative e parentali, che ci chiedono di rimodellare la tradizionale alleanza fra le generazioni.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE

DEI FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE

Sala del Concistoro

Sabato, 21 maggio 2022

 

Cari fratelli, buongiorno e benvenuti!

Ringrazio il Superiore Generale per le sue parole, anche per il “Lolo Kiko” [saluto filippino: “nonno Francesco”], e formulo i migliori auguri a lui e al suo consiglio. Sono contento di incontrarvi in occasione del vostro 46° Capitolo Generale, che ha per tema “Costruire nuove strade per trasformare vite”. È bello intendere il Capitolo così, camminando, come un cantiere di nuove strade, che conducano incontro ai fratelli, specialmente ai più poveri. Ma noi sappiamo che la “Via”, la strada veramente nuova, è Gesù Cristo: seguendo Lui, camminando con Lui, la nostra vita viene trasformata, e diventiamo a nostra volta lievito, sale, luce.

Per voi, secondo il carisma di San Giovanni Battista de la Salle, queste “nuove strade” sono anzitutto percorsi di educazione, da realizzare nelle scuole, nei collegi, nelle università che portate avanti in circa cento Paesi nei quali siete presenti. Una bella responsabilità! Ne ringrazio con voi il Signore, perché il lavoro educativo è un grande dono prima di tutto per chi lo compie: è un lavoro che chiede molto, ma che dà molto! La relazione costante con gli educatori, con i genitori, e specialmente con i ragazzi e i giovani è una fonte sempre viva di umanità, pur con tutte le fatiche e le problematiche che comporta.

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Siamo consapevoli che il mondo sta vivendo un’emergenza educativa. Si è rotto il patto educativo, è rotto, e adesso lo Stato, gli educatori e la famiglia sono separati. Dobbiamo cercare un nuovo patto che sia comunicazione, lavorare insieme. Questa emergenza educativa è resa più acuta dalle conseguenze della pandemia. Le due grandi sfide del nostro tempo: la sfida della fraternità e la sfida della cura della casa comune, non possono trovare risposta se non attraverso l’educazione. Entrambe sono anzitutto sfide educative. E grazie a Dio la comunità cristiana non solo ne è consapevole, ma è impegnata in questo lavoro, da tempo sta cercando di “costruire nuove strade per trasformare” lo stile di vita. E voi, fratelli, fate parte di questo cantiere, anzi, siete in prima linea, educando a passare da un mondo chiuso a un mondo aperto; da una cultura dell’usa-e-getta a una cultura della cura; da una cultura dello scarto a una cultura dell’integrazione; dalla ricerca degli interessi di parte alla ricerca del bene comune. Come educatori voi sapete bene che questa trasformazione deve partire dalle coscienze, oppure sarà solo di facciata. E sapete anche che non potete fare questo lavoro da soli, ma cooperando in “alleanza educativa” con le famiglie, con le comunità e le aggregazioni ecclesiali, con le realtà formative presenti nel territorio.

Questo, cari fratelli, è il vostro campo di lavoro. Ma per essere buoni operai, non dovete trascurare voi stessi! Non potete dare ai giovani quello che non avete dentro di voi. L’educatore cristiano, alla scuola di Cristo, è anzitutto testimone, ed è maestro nella misura in cui è testimone. Non ho niente da insegnarvi in questo, ma solo, come fratello, voglio ricordarvelo: testimonianza. E soprattutto prego per voi, perché siate fratelli non solo di nome ma di fatto. E perché le vostre scuole siano cristiane non di nome, ma di fatto.

Grazie per quello che siete e che fate! Andate avanti con la gioia di evangelizzare educando e di educare evangelizzando. Benedico voi e tutte le vostre comunità. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

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GIUGNO

SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI MILITARI DELLA BRIGATA "GRANATIERI DI SARDEGNA"

IMPEGNATI NELL'OPERAZIONE "STRADE SICURE"

Aula Paolo VI

Sabato, 11 giugno 2022

 

(…)

La vostra opera nei dintorni della Città del Vaticano contribuisce ad assicurare un sereno svolgimento degli eventi che, nel corso dell’anno, richiamano pellegrini e turisti da ogni parte del mondo. Si tratta di un’attività che richiede disponibilità, pazienza, spirito di sacrificio e senso del dovere. Mi rendo conto che questo tipo di lavoro a volte potrebbe risultare un po’ estenuante – penso all’estate, penso al freddo dell’inverno –, tuttavia esso è quanto mai utile per la collettività, che vi è riconoscente e vi apprezza.

Ciò vi impegna ogni giorno a corrispondere alla fiducia e alla stima che la gente ripone in voi. Pertanto, vi incoraggio ad essere, sia nell’ambito lavorativo che nella vita personale e sociale, promotori di solidarietà, aiutando la gente ad essere buoni cittadini. La professionalità e il senso di responsabilità, che voi testimoniate sul territorio, esprimono e rafforzano un senso di appartenenza al corpo sociale, e anche al senso dello Stato e del bene comune. Nell’adempimento della vostra missione, vi accompagni sempre la consapevolezza che ogni persona è amata da Dio, è sua creatura e come tale merita rispetto. La grazia del Signore alimenti giorno per giorno lo spirito con cui vi dedicate al vostro lavoro, motivandovi a viverla con un supplemento di attenzione e di dedizione.

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LUGLIO

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO SU

"RESILIENCE OF PEOPLE AND ECOSYSTEMS UNDER CLIMATE STRESS"

[Casina Pio IV, 13-14 luglio 2022]

 

(...)

Cari fratelli e sorelle, mi fa piacere che il vostro lavoro in questi giorni sia dedicato a esaminare l’impatto dei cambiamenti sul nostro clima e a cercare soluzioni pratiche da poter attuare tempestivamente al fine di aumentare la resilienza della gente e degli ecosistemi. Lavorando insieme, uomini e donne di buona volontà possono affrontare l’entità e la complessità delle questioni che abbiamo dinanzi a noi, proteggere la famiglia umana e il dono di Dio del creato dai fenomeni climatici estremi e rafforzare i beni di giustizia e pace.
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ANGELUS

Piazza San Pietro

Domenica, 17 luglio 2022

 

(…)

Fratelli e sorelle, approfittiamo di questo tempo di vacanze, per fermarci e metterci in ascolto di Gesù. Oggi si fa sempre più fatica a trovare momenti liberi per meditare. Per tante persone i ritmi di lavoro sono frenetici, logoranti. Il periodo estivo può essere prezioso anche per aprire il Vangelo e leggerlo lentamente, senza fretta, un passo ogni giorno, un piccolo passo del Vangelo. E questo fa entrare in questa dinamica di Gesù. Lasciamoci interrogare da quelle pagine, domandandoci come sta andando la nostra vita, la mia vita, se è in linea con ciò che dice Gesù o non tanto. In particolare, chiediamoci: quando inizio la giornata, mi butto a capofitto nelle cose da fare, oppure cerco prima ispirazione nella Parola di Dio? A volte noi incominciamo le giornate automaticamente, a fare le cose… come le galline. No. Dobbiamo incominciare le giornate prima di tutto guardando al Signore, prendendo la sua Parola, breve, ma che sia questa l’ispirazione delle giornata. Se al mattino usciamo di casa serbando nella mente una parola di Gesù, sicuramente la giornata acquisterà un tono segnato da quella parola, che ha il potere di orientare le nostre azioni secondo ciò che vuole il Signore.

La Vergine Maria ci insegni a scegliere la parte migliore, che non ci sarà mai tolta.

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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO

IN CANADA

(24 - 30 LUGLIO 2022)

VESPRI CON I VESCOVI, I SACERDOTI, I DIACONI, I CONSACRATI,
 I SEMINARISTI E GLI OPERATORI PASTORALI

 OMELIA DEL SANTO PADRE

Cattedrale di Notre Dame a Québec

Giovedì, 28 luglio 2022

 

(…)

Cari fratelli e sorelle, c’è bisogno di annunciare il Vangelo per donare agli uomini e alle donne di oggi la gioia della fede. Ma questo annuncio non si dà anzitutto a parole, bensì attraverso una testimonianza traboccante di amore gratuito, come fa Dio con noi. È un annuncio che chiede di incarnarsi in uno stile di vita personale ed ecclesiale che possa far riaccendere il desiderio del Signore, infondere speranza, trasmettere fiducia e credibilità. E su questo mi permetto, in spirito fraterno, di proporvi tre sfide, che potrete portare avanti nella preghiera e nel servizio pastorale.

(…)

Per annunciare il Vangelo, però, bisogna anche essere credibili. Ed ecco la seconda sfida: la testimonianza. Il Vangelo si annuncia in modo efficace quando è la vita a parlare, a rivelare quella libertà che fa liberi gli altri, quella compassione che non chiede nulla in cambio, quella misericordia che senza parole parla di Cristo. La Chiesa in Canada ha iniziato un percorso nuovo, dopo essere stata ferita e sconvolta dal male perpetrato da alcuni suoi figli. Penso in particolare agli abusi sessuali commessi contro minori e persone vulnerabili, scandali che richiedono azioni forti e una lotta irreversibile. Io vorrei, insieme a voi, chiedere ancora perdono a tutte le vittime. Il dolore e la vergogna che proviamo deve diventare occasione di conversione: mai più! E, pensando al cammino di guarigione e riconciliazione con i fratelli e le sorelle indigeni, mai più la comunità cristiana si lasci contaminare dall’idea che esista una superiorità di una cultura rispetto ad altre e che sia legittimo usare mezzi di coercizione nei riguardi degli altri. Recuperiamo l’ardore missionario del vostro primo Vescovo, Saint François de Laval, che si scagliò contro tutti coloro che degradavano gli indigeni inducendoli a consumare bevande per truffarli. Non permettiamo che alcuna ideologia alieni e confonda gli stili e le forme di vita dei nostri popoli per cercare di piegarli e di dominarli. Che i nuovi progressi dell’umanità siano assimilabili nelle loro identità culturali con le chiavi della cultura.

Ma per sconfiggere questa cultura dell’esclusione occorre che iniziamo noi: i pastori, che non si sentano superiori ai fratelli e alle sorelle del Popolo di Dio; che i consacrati vivano la fraternità e la libertà nell’obbedienza nella comunità; che i seminaristi siano pronti a essere servitori docili e disponibili e che gli operatori pastorali non intendano il loro servizio come potere. Si inizia da qui. Voi siete i protagonisti e i costruttori di una Chiesa diversa: umile, mite, misericordiosa, una Chiesa che accompagna i processi, che lavora decisamente e serenamente all’inculturazione, che valorizza ognuno e ogni diversità culturale e religiosa. Offriamo questa testimonianza!

Infine, la terza sfida: la fraternità. La prima, far conoscere Gesù; la seconda, la testimonianza; la terza, la fraternità. La Chiesa sarà credibile testimone del Vangelo quanto più i suoi membri vivranno la comunione, creando occasioni e spazi perché chiunque si avvicini alla fede trovi una comunità ospitale, che sa ascoltare, che sa entrare in dialogo, che promuove una qualità buona delle relazioni. Così diceva il vostro santo Vescovo ai missionari: «Spesso una parola amara, un’impazienza, un volto che respinge distruggeranno in un momento ciò che è stato costruito in molto tempo» (Istruzioni ai missionari, 1668).

Si tratta di vivere una comunità cristiana che così diventa scuola di umanità, dove si impara a volersi bene come fratelli e sorelle, disposti a lavorare insieme per il bene comune. (…)

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AGOSTO

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI

Mercoledì, 24 agosto 2022

 

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Il Risorto vive nel mondo di Dio, dove c’è un posto per tutti, dove si forma una nuova terra e si va costruendo la città celeste, abitazione definitiva dell’uomo. Noi non possiamo immaginare questa trasfigurazione della nostra corporeità mortale, ma siamo certi che essa manterrà riconoscibili i nostri volti e ci consentirà di rimanere umani nel cielo di Dio. Ci consentirà di partecipare, con sublime emozione, all’infinita e felice esuberanza dell’atto creatore di Dio, di cui vivremo in prima persona tutte le interminabili avventure.

Gesù, quando parla del Regno di Dio, lo descrive come un pranzo di nozze, come una festa con gli amici, come il lavoro che rende perfetta la casa: è la sorpresa che rende il raccolto più ricco della semina. Prendere sul serio le parole evangeliche sul Regno abilita la nostra sensibilità a godere dell’amore operoso e creativo di Dio, e ci mette in sintonia con la destinazione inaudita della vita che seminiamo. Nella nostra vecchiaia, care e cari coetanei, e parlo ai “vecchi” e alle “vecchiette”, nella nostra vecchiaia l’importanza di tanti “dettagli” di cui è fatta la vita – una carezza, un sorriso, un gesto, un lavoro apprezzato, una sorpresa inaspettata, un’allegria ospitale, un legame fedele – si rende più acuta. L’essenziale della vita, che in prossimità del nostro congedo teniamo più caro, ci appare definitivamente chiaro. Ecco: questa sapienza della vecchiaia è il luogo della nostra gestazione, che illumina la vita dei bambini, dei giovani, degli adulti, e dell’intera comunità. Noi “vecchi” dovremmo essere questo per gli altri: luce per gli altri. L’intera nostra vita appare come un seme che dovrà essere sotterrato perché nasca il suo fiore e il suo frutto. Nascerà, insieme con tutto il resto del mondo. Non senza doglie, non senza dolore, ma nascerà (cfr Gv 16,21-23). E la vita del corpo risorto sarà cento e mille volte più viva di come l’abbiamo assaggiata su questa terra (cfr Mc 10,28-31).

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO

DALL'INTERNATIONAL CATHOLIC LEGISLATORS NETWORK

Sala Clementina

Giovedì, 25 agosto 2022

 

(…)

Infine, lo sforzo per costruire il nostro futuro comune richiede la costante ricerca della pace. La pace non è semplicemente assenza della guerra. Il cammino verso una pace duratura richiede invece la cooperazione, soprattutto da parte di coloro che hanno maggiori responsabilità, nel perseguire obiettivi che vadano a beneficio di tutti. La pace deriva da un impegno duraturo per il dialogo reciproco, da una paziente ricerca della verità e dalla volontà di anteporre il bene autentico della comunità al vantaggio personale. In questa prospettiva, il vostro lavoro di legislatori e leader politici è più importante che mai. Perché la vera pace può essere raggiunta solo quando ci sforziamo, attraverso processi politici e legislativi lungimiranti, di costruire un ordine sociale fondato sulla fraternità universale e sulla giustizia per tutti.

Cari amici, il Signore vi aiuti a diventare lievito per il rinnovamento della vita civile e politica, testimoni di “amore politico” (cfr ibid., 180ss.) per i più bisognosi. Auspico che il vostro impegno per la giustizia e la pace, alimentato da uno spirito di solidarietà fraterna, continui a guidarvi nella nobile opera di contribuire all’avvento del Regno di Dio nel mondo.

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CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI

E PER IL VOTO SU ALCUNE CAUSE DI CANONIZZAZIONE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di San Pietro

Sabato, 27 agosto 2022

 

(...)

Il fuoco di brace fa pensare ad esempio a San Charles de Foucauld: al suo rimanere a lungo in un ambiente non cristiano, nella solitudine del deserto, puntando tutto sulla presenza: la presenza di Gesù vivo, nella Parola e nell’Eucaristia, e la sua stessa presenza fraterna, amichevole, caritatevole. Ma fa pensare anche a quei fratelli e sorelle che vivono la consacrazione secolare, nel mondo, alimentando il fuoco basso e duraturo negli ambienti di lavoro, nelle relazioni interpersonali, negli incontri di piccole fraternità; oppure, come preti, in un ministero perseverante e generoso, senza clamori, in mezzo alla gente della parrocchia. Mi diceva un parroco di tre parrocchie, qui in Italia, che aveva tanto lavoro. “Ma tu sei capace di visitare tutta la gente?”, ho detto. “Sì, conosco tutti!” – “Ma tu conosci il nome di tutti?” – “Sì, anche il nome dei cani delle famiglie”. Questo è il fuoco mite che porta l’apostolato alla luce di Gesù. E poi, non è fuoco di brace quello che ogni giorno riscalda la vita di tanti sposi cristiani? La santità coniugale! Ravvivato con una preghiera semplice, “fatta in casa”, con gesti e sguardi di tenerezza, e con l’amore che pazientemente accompagna i figli nel loro cammino di crescita. E non dimentichiamo il fuoco di brace custodito dai vecchi – sono un tesoro, tesoro della Chiesa – il focolare della memoria, sia nell’ambito familiare sia in quello sociale e civile. Quant’è importante questo braciere dei vecchi! Attorno ad esso si radunano le famiglie; permette di leggere il presente alla luce delle esperienze passate, e di fare scelte sagge.

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SETTEMBRE

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

PER LA XXXVII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 2022-2023

«Maria si alzò e andò in fretta» (Lc 1,39)

 

(…)

La fretta buona ci spinge sempre verso l’alto e verso l’altro

La fretta buona ci spinge sempre verso l’alto e verso l’altro. C’è invece la fretta non buona, come per esempio quella che ci porta a vivere superficialmente, a prendere tutto alla leggera, senza impegno né attenzione, senza partecipare veramente alle cose che facciamo; la fretta di quando viviamo, studiamo, lavoriamo, frequentiamo gli altri senza metterci la testa e tanto meno il cuore. Può succedere nelle relazioni interpersonali: in famiglia, quando non ascoltiamo mai veramente gli altri e non dedichiamo loro tempo; nelle amicizie, quando ci aspettiamo che un amico ci faccia divertire e risponda alle nostre esigenze, ma subito lo evitiamo e andiamo da un altro se vediamo che è in crisi e ha bisogno di noi; e anche nelle relazioni affettive, tra fidanzati, pochi hanno la pazienza di conoscersi e capirsi a fondo. Questo stesso atteggiamento possiamo averlo a scuola, nel lavoro e in altri ambiti della vita quotidiana. Ebbene, tutte queste cose vissute di fretta difficilmente porteranno frutto. C’è il rischio che rimangano sterili. Così si legge nel libro dei Proverbi: «I progetti di chi è diligente si risolvono in profitto, ma chi ha troppa fretta – la fretta cattiva – va verso l’indigenza» (21,5).

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PUBBLICA DI CONFINDUSTRIA

Aula Paolo VI

Lunedì, 12 settembre 2022

 

Cari imprenditori e imprenditrici, buongiorno e benvenuti!

Ringrazio il Presidente per il saluto e l’introduzione. Sono lieto di potervi incontrare e, tramite voi, rivolgermi al mondo degli imprenditori, che sono una componente essenziale per costruire il bene comune, sono un motore primario di sviluppo e di prosperità.

Questo tempo non è un tempo facile, per voi e per tutti. Anche il mondo dell’impresa sta soffrendo molto. La pandemia ha messo a dura prova tante attività produttive, tutto il sistema economico è stato ferito. E ora si è aggiunta la guerra in Ucraina con la crisi energetica che ne sta derivando. In queste crisi soffre anche il buon imprenditore, che ha la responsabilità della sua azienda, dei posti di lavoro, che sente su di sé le incertezze e i rischi. Nel mercato ci sono imprenditori “mercenari” e imprenditori simili al buon pastore (cfr Gv 10,11-18), che soffrono le stesse sofferenze dei loro lavoratori, che non fuggono davanti ai molti lupi che girano attorno. La gente sa riconoscere i buoni imprenditori. Lo abbiamo visto anche recentemente, alla morte di Alberto Balocco: tutta la comunità aziendale e civile era addolorata e ha manifestato stima e riconoscenza.

La Chiesa, fin dagli inizi, ha accolto nel suo seno anche mercanti, precursori dei moderni imprenditori. Nella Bibbia e nei Vangeli si parla di lavoro, di commercio, e tra le parabole ci sono quelle che parlano di monete, di proprietari terrieri, di amministratori, di perle preziose acquistate. Il padre misericordioso nel Vangelo di Luca (cfr 15,11-32) ci viene mostrato come un uomo benestante, un proprietario terriero. Il buon samaritano (cfr Lc 10,30-35) poteva essere un mercante: è lui che si prende cura dell’uomo derubato e ferito, e poi lo affida a un altro imprenditore, un albergatore. I “due denari” che il samaritano anticipa all’albergatore sono molto importanti: nel Vangelo non ci sono soltanto i trenta denari di Giuda; non solo quelli. In effetti, lo stesso denaro può essere usato, ieri come oggi, per tradire e vendere un amico o per salvare una vittima. Lo vediamo tutti i giorni, quando i denari di Giuda e quelli del buon samaritano convivono negli stessi mercati, nelle stesse borse valori, nelle stesse piazze. L’economia cresce e diventa umana quando i denari dei samaritani diventano più numerosi di quelli di Giuda.

(…)

Un’altra via di condivisione è la creazione di lavoro, lavoro per tutti, in particolare per i giovani. I giovani hanno bisogno della vostra fiducia, e voi avete bisogno dei giovani, perché le imprese senza giovani perdono innovazione, energia, entusiasmo. Da sempre il lavoro è una forma di comunione di ricchezza: assumendo persone voi state già distribuendo i vostri beni, state già creando ricchezza condivisa. Ogni nuovo posto di lavoro creato è una fetta di ricchezza condivisa in modo dinamico. Sta anche qui la centralità del lavoro nell’economia e la sua grande dignità. Oggi la tecnica rischia di farci dimenticare questa grande verità, ma se il nuovo capitalismo creerà ricchezza senza più creare lavoro, va in crisi questa grande funzione buona della ricchezza. E parlando dei giovani: io, quando incontro i governanti, in tanti mi dicono: “Il problema del mio Paese è che i giovani vanno fuori, perché non hanno possibilità”. Creare il lavoro è una sfida e alcuni Paesi sono in crisi per questa mancanza. Io vi chiedo questo favore: che qui, in questo Paese, grazie alla vostra iniziativa, al vostro coraggio, ci siano posti di lavoro, si creino soprattutto per i giovani.

Tuttavia, il problema del lavoro non può risolversi se resta ancorato nei confini del solo mercato del lavoro: è il modello di ordine sociale da mettere in discussione. Quale modello di ordine sociale? E qui si tocca la questione della denatalità. La denatalità, combinata con il rapido invecchiamento della popolazione, sta aggravando la situazione per gli imprenditori, ma anche per l’economia in generale: diminuisce l’offerta dei lavoratori e aumenta la spesa pensionistica a carico della finanza pubblica. È urgente sostenere nei fatti le famiglie e la natalità. Su questo dobbiamo lavorare, per uscire il più presto possibile dall’inverno demografico nel quale vive l’Italia e anche altri Paesi. È un brutto inverno demografico, che va contro di noi e ci impedisce questa capacità di crescere. Oggi fare i figli è una questione, io direi, patriottica, anche per portare il Paese avanti.

Sempre a proposito della natalità: alle volte, una donna che è impiegata qui o lavora là, ha paura a rimanere incinta, perché c’è una realtà - non dico tra voi - ma c’è una realtà che appena si incomincia a vedere la pancia, la cacciano via. “No, no, tu non puoi rimanere incinta”. Per favore, questo è un problema delle donne lavoratrici: studiatelo, vedete come fare affinché una donna incinta possa andare avanti, sia con il figlio che aspetta e sia con il lavoro. E sempre a proposito di lavoro, c’è un altro tema da evidenziare. L’Italia ha una forte vocazione comunitaria e territoriale: il lavoro è stato sempre considerato all’interno di un patto sociale più ampio, dove l’impresa è parte integrante della comunità. Il territorio vive dell’impresa e l’impresa trae linfa dalle risorse di prossimità, contribuendo in modo sostanziale al benessere dei luoghi in cui è collocata. A questo proposito, va sottolineato il ruolo positivo che giocano le aziende sulla realtà dell’immigrazione, favorendo l’integrazione costruttiva e valorizzando capacità indispensabili per la sopravvivenza dell’impresa nell’attuale contesto. Nello stesso tempo occorre ribadire con forza il “no” ad ogni forma di sfruttamento delle persone e di negligenza nella loro sicurezza. Il problema dei migranti: il migrante va accolto, accompagnato, sostenuto e integrato, e il modo di integrarlo è il lavoro. Ma se il migrante è respinto o semplicemente usato come un bracciante senza diritti, ciò è un’ingiustizia grande e anche fa male al proprio Paese.

Mi piace anche ricordare che l’imprenditore stesso è un lavoratore. E questo è bello eh! Non vive di rendita; il vero imprenditore vive di lavoro, vive lavorando, e resta imprenditore finché lavora. Il buon imprenditore conosce i lavoratori perché conosce il lavoro. Molti di voi sono imprenditori artigiani, che condividono la stessa fatica e bellezza quotidiana dei dipendenti. Una delle gravi crisi del nostro tempo è la perdita di contatto degli imprenditori col lavoro: crescendo, diventando grandi, la vita trascorre in uffici, riunioni, viaggi, convegni, e non si frequentano più le officine e le fabbriche. Si dimentica “l’odore” del lavoro. È brutto. È come succede a noi preti e vescovi, quando dimentichiamo l’odore delle pecore, non siamo più pastori, siamo funzionari. Si dimentica l’odore del lavoro, non si riconoscono più i prodotti ad occhi chiusi toccandoli; e quando un imprenditore non tocca più i suoi prodotti, perde contatto con la vita della sua impresa, e spesso inizia anche il suo declino economico. Il contatto, la vicinanza, che è lo stile di Dio: essere vicino.

Creare lavoro poi genera una certa uguaglianza nelle vostre imprese e nella società. È vero che nelle imprese esiste la gerarchia, è vero che esistono funzioni e salari diversi, ma i salari non devono essere troppo diversi. Oggi la quota di valore che va al lavoro è troppo piccola, soprattutto se la confrontiamo con quella che va alle rendite finanziarie e agli stipendi dei top manager. Se la forbice tra gli stipendi più alti e quelli più bassi diventa troppo larga, si ammala la comunità aziendale, e presto si ammala la società. Adriano Olivetti, un vostro grande collega del secolo scorso, aveva stabilito un limite alla distanza tra gli stipendi più alti e quelli più bassi, perché sapeva che quando i salari e gli stipendi sono troppo diversi si perde nella comunità aziendale il senso di appartenenza a un destino comune, non si crea empatia e solidarietà tra tutti; e così, di fronte a una crisi, la comunità di lavoro non risponde come potrebbe rispondere, con gravi conseguenze per tutti. Il valore che voi create dipende da tutti e da ciascuno: dipende anche dalla vostra creatività, dal talento e dall’innovazione, dipende anche dalla cooperazione di tutti, dal lavoro quotidiano di tutti. Perché se è vero che ogni lavoratore dipende dai suoi imprenditori e dirigenti, è anche vero che l’imprenditore dipende dai suoi lavoratori, dalla loro creatività, dal loro cuore e dalla loro anima: possiamo dire che dipende dal loro “capitale” spirituale, dei lavoratori.

Cari amici, le grandi sfide della nostra società non si potranno vincere senza buoni imprenditori, e questo è vero. Vi incoraggio a sentire l’urgenza del nostro tempo, ad essere protagonisti di questo cambiamento d’epoca. Con la vostra creatività e innovazione potete dar vita a un sistema economico diverso, dove la salvaguardia dell’ambiente sia un obiettivo diretto e immediato della vostra azione economica. Senza nuovi imprenditori la terra non reggerà l’impatto del capitalismo, e lasceremo alle prossime generazioni un pianeta troppo ferito, forse invivibile. Quanto fatto finora non basta: per favore aiutiamoci insieme a fare di più.

E vi ringrazio di essere venuti e vi auguro ogni bene per voi e per il vostro lavoro. Di cuore vi benedico insieme alle vostre famiglie. E per favore, vi chiedo di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie!

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO DI DELOITTE GLOBAL

Aula Paolo VI

Giovedì, 22 settembre 2022

 

Care amiche, cari amici, benvenuti!

Ringrazio il Signor Renjen per le parole con cui ha presentato il vostro lavoro: assistere il mondo imprenditoriale nel fare le scelte opportune nelle diverse situazioni. Ho saputo che in ogni momento della giornata ci sono 350.000 persone che lavorano per la vostra Società impegnate a fornire consulenza e assistenza ad altre organizzazioni. Una grande responsabilità!

Oggi il mondo sta soffrendo a causa del peggioramento delle condizioni ambientali; molte popolazioni o gruppi sociali vivono in maniera non dignitosa sul piano dell’alimentazione, della salute, dell’istruzione e di altri diritti fondamentali. L’umanità è globalizzata e interconnessa, ma permangono povertà, ingiustizia e diseguaglianze.

Quali sono dunque le condizioni perché un consulente, un coordinatore di consulenti, un professionista esperto possa contribuire a invertire o almeno a correggere la rotta? Come impostare il proprio lavoro in modo da poter camminare verso un mondo più abitabile, più giusto e più fraterno? Provo a suggerirne tre.

Il primo suggerimento è di tenere viva la consapevolezza che voi potete lasciare un segno. Si tratta di fare in modo che sia un segno buono, che vada nella direzione di uno sviluppo umano integrale. Le vostre conoscenze, le vostre esperienze, le vostre competenze e la vastità della rete delle vostre relazioni costituiscono un immenso patrimonio immateriale che aiuta imprenditori, banchieri, managers, amministratori pubblici a capire il contesto, a immaginare il futuro e a prendere decisioni. Dunque, aiutare a conoscere per aiutare a decidere. Questo attribuisce alla vostra organizzazione e a ciascuna e ciascuno di voi la capacità di orientare le scelte, di influenzarne i criteri, di valutare le priorità per le aziende, le università, gli organismi sovranazionali, i governi nazionali e locali, e per coloro che prendono decisioni a livello politico. Voi siete ben consapevoli di questo vostro “potere”. Ad esso dovrebbe affiancarsi costantemente la volontà di indirizzare le vostre analisi e le vostre proposte verso scelte coerenti con il paradigma dell’ecologia integrale. Una buona domanda da porsi per valutare ciò che funziona e ciò che non funziona sarebbe: quale mondo vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti?

(…)

Cosa può fare il consulente di decisioni in questo contesto difficile e incerto? Può fare molto. Può impostare le sue analisi e le sue proposte secondo uno sguardo e una visione integrali: infatti, lavoro dignitoso delle persone, cura della casa comune, valore economico e sociale, impatto positivo sulle comunità sono realtà tra loro connesse.

Il consulente di oggi, consapevole del proprio ruolo, è chiamato a proporre e argomentare indirizzi nuovi per sfide nuove. Gli schemi vecchi hanno funzionato solo in parte, in contesti diversi. Chiamerei questa nuova generazione di consulenti “consulenti integrali”. Si tratta di esperti e professionisti che tengono conto delle connessioni tra i problemi e le loro rispettive soluzioni e che accolgono il concetto dell’antropologia relazionale: quella che «aiuta l’uomo anche a riconoscere la validità di strategie economiche che mirino anzitutto alla qualità globale della vita raggiunta, prima ancora che all’accrescimento indiscriminato dei profitti, ad un benessere che se vuol essere tale è sempre integrale, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Nessun profitto è infatti legittimo quando vengono meno l’orizzonte della promozione integrale della persona umana, della destinazione universale dei beni e dell’opzione preferenziale per i poveri» [1], e aggiungiamo: la cura della nostra casa comune.

Il mio auspicio è che voi possiate aiutare le organizzazioni a rispondere a questa chiamata. Avete le giuste competenze per collaborare a costruire quel ponte necessario tra il presente paradigma economico, basato su consumi eccessivi e che sta vivendo la sua ultima fase, con il paradigma emergente, un paradigma strutturato sull’inclusione, la sobrietà, la cura e il benessere. Vi incoraggio a diventare “consulenti integrali”: per cooperare a ri-orientare il modo di stare su questo nostro Pianeta che abbiamo fatto ammalare, nel clima e nelle disuguaglianze.

Cari amici, vi ringrazio di questo incontro e vi auguro buon lavoro. Benedico voi e le vostre famiglie, specialmente i bambini, i malati e gli anziani, che sono la nostra saggezza. E vi chiedo per favore di pregare per me. E se qualcuno di voi non prega o non crede, almeno mandatemi “buone onde”, ne ho bisogno! Grazie.

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[1] Congr. Dottr. Fede – Dicast. Serv. Svil. Um. Integr., Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario (6 gennaio 2018), 10.

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VISITA AD ASSISI

IN OCCASIONE DELL’EVENTO “ECONOMY OF FRANCESCO”

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Pala-Eventi di Santa Maria degli Angeli (Assisi)

Sabato, 24 settembre 2022

 

Carissime e carissimi giovani, buongiorno! Saluto tutti voi che siete venuti, che avete avuto la possibilità di essere qui, ma anche vorrei salutare tutti coloro che non sono potuti arrivare qui, che sono rimasti a casa: un ricordo a tutti! Siamo uniti, tutti: loro dal loro posto, noi qui.

Ho atteso da oltre tre anni questo momento, da quando, il primo maggio 2019, vi scrissi la lettera che vi ha chiamati e poi vi ha portati qui ad Assisi. Per tanti di voi – lo abbiamo appena ascoltato – l’incontro con l’Economia di Francesco ha risvegliato qualcosa che avevate già dentro. Eravate già impegnati nelcreare una nuova economia; quella lettera vi ha messo insieme, vi ha dato un orizzonte più ampio, vi ha fatto sentire parte di una comunità mondiale di giovani che avevano la vostra stessa vocazione. E quando un giovane vede in un altro giovane la sua stessa chiamata, e poi questa esperienza si ripete con centinaia, migliaia di altri giovani, allora diventano possibili cose grandi, persino sperare di cambiare un sistema enorme, un sistema complesso come l’economia mondiale. Anzi, oggi quasi parlare di economia sembra cosa vecchia: oggi si parla di finanza, e la finanza è una cosa acquosa, una cosa gassosa, non la si può prendere. Una volta, una brava economista a livello mondiale mi ha detto che lei ha fatto un’esperienza di incontro tra economia, umanesimo e religione. Ed è andato bene, quell’incontro. Ha voluto fare lo stesso con la finanza e non è riuscita. State attenti a questa gassosità delle finanze: voi dovete riprendere l’attività economica dalle radici, dalle radici umane, come sono state fatte. Voi giovani, con l’aiuto di Dio, lo sapete farelo potete fare; i giovani hanno fatto altre volte nel corso della storia tante cose.

(…)

Un’economia che si lascia ispirare dalla dimensione profetica si esprime oggi in una visione nuova dell’ambiente e della terra. Dobbiamo andare a questa armonia con l’ambiente, con la terra. Sono tante le persone, le imprese e le istituzioni che stanno operando una conversione ecologica. Bisogna andare avanti su questa strada, e fare di più. Questo “di più” voi lo state facendo e lo state chiedendo a tutti. Non basta fare il maquillage, bisogna mettere in discussione il modello di sviluppo. La situazione è tale che non possiamo soltanto aspettare il prossimo summit internazionale, che può non servire: la terra brucia oggi, ed è oggi che dobbiamo cambiare, a tutti i livelli. In questo ultimo anno voi avete lavorato sull’economia delle piante, un tema innovativo. Avete visto che il paradigma vegetale contiene un diverso approccio alla terra e all’ambiente. Le piante sanno cooperare con tutto l’ambiente circostante, e anche quando competono, in realtà stanno cooperando per il bene dell’ecosistema. Impariamo dalla mitezza delle piante: la loro umiltà e il loro silenzio possono offrirci uno stile diverso di cui abbiamo urgente bisogno. Perché, se parliamo di transizione ecologica ma restiamo dentro il paradigma economico del Novecento, che ha depredato le risorse naturali e la terra, le manovre che adotteremo saranno sempre insufficienti o ammalate nelle radici. La Bibbia è piena di alberi e di piante, dall’albero della vita al granello di senape. E San Francesco ci aiuta con la sua fraternità cosmica con tutte le creature viventi. Noi uomini, in questi ultimi due secoli, siamo cresciuti a scapito della terra. È stata lei a pagare il conto! L’abbiamo spesso saccheggiata per aumentare il nostro benessere, e neanche il benessere di tutti, ma di un gruppetto. È questo il tempo di un nuovo coraggio nell’abbandono delle fonti fossili d’energia, di accelerare lo sviluppo di fonti a impatto zero o positivo.

E poi dobbiamo accettare il principio etico universale – che però non piace – che i danni vanno riparati. Questo è un principio etico, universale: i danni vanno riparati. Se siamo cresciuti abusando del pianeta e dell’atmosfera, oggi dobbiamo imparare a fare anche sacrifici negli stili di vita ancora insostenibili. Altrimenti, saranno i nostri figli e i nostri nipoti a pagare il conto, un conto che sarà troppo alto e troppo ingiusto. Io sentivo uno scienziato molto importante a livello mondiale, sei mesi fa, che ha detto: “Ieri mi è nata una nipotina. Se continuiamo così, poveretta, entro trent’anni dovrà vivere in un mondo inabitabile”. Saranno i figli e i nipoti a pagare il conto, un conto che sarà troppo alto e troppo ingiusto. Occorre un cambiamento rapido e deciso. Questo lo dico sul serio: conto su di voi! Per favore, non lasciateci tranquilli, dateci l’esempio! E io vi dico la verità: per vivere su questa strada ci vuole coraggio e alcune volte ci vuole qualche pizzico di eroicità. Ho sentito, in un incontro, un ragazzo, 25enne, appena uscito come ingegnere di alto livello, non trovava lavoro; alla fine l’ha trovato in un’industria che non sapeva bene cosa fosse; quando ha studiato cosa doveva fare – senza lavoro, in condizione di lavorare – ha rifiutato, perché si fabbricavano le armi. Questi sono gli eroi di oggi, questi.

La sostenibilità, poi, è una parola a più dimensioni. Oltre a quella ambientale ci sono anche le dimensioni sociale, relazionale e spirituale. Quella sociale incomincia lentamente ad essere riconosciuta: ci stiamo rendendo conto che il grido dei poveri e il grido della terra sono lo stesso grido (cfr Enc. Laudato si’, 49). Pertanto, quando lavoriamo per la trasformazione ecologica, dobbiamo tenere presenti gli effetti che alcune scelte ambientali producono sulle povertà. Non tutte le soluzioni ambientali hanno gli stessi effetti sui poveri, e quindi vanno preferite quelle che riducono la miseria e le diseguaglianze. Mentre cerchiamo di salvare il pianeta, non possiamo trascurare l’uomo e la donna che soffrono. L’inquinamento che uccide non è solo quello dell’anidride carbonica, anche la diseguaglianza inquina mortalmente il nostro pianeta. Non possiamo permettere che le nuove calamità ambientali cancellino dall’opinione pubblica le antiche e sempre attuali calamità dell’ingiustizia sociale, anche delle ingiustizie politiche. Pensiamo, per esempio, a un’ingiustizia politica; il povero popolo martoriato dei Rohingya che vaga da una parte all’altra perché non può abitare nella propria patria: un’ingiustizia politica.

C’è poi una insostenibilità delle nostre relazioni: in molti Paesi le relazioni delle persone si stanno impoverendo. Soprattutto in Occidente, le comunità diventano sempre più fragili e frammentate. La famiglia, in alcune regioni del mondo, soffre una grave crisi, e con essa l’accoglienza e la custodia della vita. Il consumismo attuale cerca di riempire il vuoto dei rapporti umani con merci sempre più sofisticate – le solitudini sono un grande affare nel nostro tempo! –, ma così genera una carestia di felicità. E questa è una cosa brutta. Pensate all’inverno demografico, per esempio, come è in rapporto con tutto questo. L’inverno demografico dove tutti i Paesi stanno diminuendo grandemente, perché non si fanno figli, ma conta più avere un rapporto affettivo con i cagnolini, con i gatti e andare avanti così. Bisogna riprendere a procreare. Ma anche in questa linea dell’inverno demografico c’è la schiavitù della donna: una donna che non può essere madre perché appena incomincia a salire la pancia, la licenziano; alle donne incinte non è sempre consentito lavorare.

C’è infine una insostenibilità spirituale del nostro capitalismo. L’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, prima di essere un cercatore di beni è un cercatore di senso. Noi tutti siamo cercatori di senso. Ecco perché il primo capitale di ogni società è quello spirituale, perché è quello che ci dà le ragioni per alzarci ogni giorno e andare al lavoro, e genera quella gioia di vivere necessaria anche all’economia. Il nostro mondo sta consumando velocemente questa forma essenziale di capitale accumulata nei secoli dalle religioni, dalle tradizioni sapienziali, dalla pietà popolare. E così soprattutto i giovani soffrono per questa mancanza di senso: spesso di fronte al dolore e alle incertezze della vita si ritrovano con un’anima impoverita di risorse spirituali per elaborare sofferenze, frustrazioni, delusioni e lutti. Guardate la percentuale di suicidi giovanili, com’è salito: e non li pubblicano tutti, nascondono la cifra. La fragilità di molti giovani deriva dalla carenza di questo prezioso capitale spirituale – io dico: voi avete un capitale spirituale? Ognuno si risponda dentro – un capitale invisibile ma più reale dei capitali finanziari o tecnologici. C’è un urgente bisogno di ricostituire questo patrimonio spirituale essenziale. La tecnica può fare molto; ci insegna il “cosa” e il “come” fare: ma non ci dice il “perché”; e così le nostre azioni diventano sterili e non riempiono la vita, neanche la vita economica.

(…)

San Francesco ha amato non solo i poveri, ha amato anche la povertà. Questo modo di vivere austero, diciamo così. Francesco andava dai lebbrosi non tanto per aiutarli, andava perché voleva diventare povero come loro. Seguendo Gesù Cristo, si spogliò di tutto per essere povero con i poveri. Ebbene, la prima economia di mercato è nata nel Duecento in Europa a contatto quotidiano con i frati francescani, che erano amici di quei primi mercanti. Quella economia creava ricchezza, certo, ma non disprezzava la povertà. Creare ricchezza senza disprezzare la povertà. Il nostro capitalismo, invece, vuole aiutare i poveri ma non li stima, non capisce la beatitudine paradossale: “beati i poveri” (cfr Lc 6,20). Noi non dobbiamo amare la miseria, anzi dobbiamo combatterla, anzitutto creando lavoro, lavoro degno. Ma il Vangelo ci dice che senza stimare i poveri non si può combattere nessuna miseria. Ed è invece da qui che dobbiamo partire, anche voi imprenditori ed economisti: abitando questi paradossi evangelici di Francesco. Quando io parlo con la gente o confesso, io domando sempre: “Lei dà l’elemosina ai poveri?” – “Sì, sì, sì!” – “E quando lei dà l’elemosina al povero, lo guarda negli occhi?” – “Eh, non so …” – “E quando tu dai l’elemosina, tu butti la moneta o tocchi la mano del povero?”. Non guardano gli occhi e non toccano; e questo è un allontanarsi dallo spirito di povertà, allontanarsi dalla vera realtà dei poveri, allontanarsi dall’umanità che deve avere ogni rapporto umano. Qualcuno mi dirà: “Papa, siamo in ritardo, quando finisci?”: finisco adesso.

E alla luce di questa riflessione, vorrei lasciarvi tre indicazioni di percorso per andare avanti.

La prima: guardare il mondo con gli occhi dei più poveri. Il movimento francescano ha saputo inventare nel Medioevo le prime teorie economiche e persino le prime banche solidali (i “Monti di Pietà”), perché guardava il mondo con gli occhi dei più poveri. Anche voi migliorerete l’economia se guarderete le cose dalla prospettiva delle vittime e degli scartati. Ma per avere gli occhi dei poveri e delle vittime bisogna conoscerli, bisogna essere loro amici. E, credetemi, se diventate amici dei poveri, se condividete la loro vita, condividerete anche qualcosa del Regno di Dio, perché Gesù ha detto che di essi è il Regno dei cieli, e per questo sono beati (cfr Lc 6,20). E lo ripeto: che le vostre scelte quotidiane non producano scarti.

La seconda: voi siete soprattutto studenti, studiosi e imprenditori, ma non dimenticatevi del lavoro, non dimenticatevi dei lavoratori. Il lavoro delle mani. Il lavoro è già la sfida del nostro tempo, e sarà ancora di più la sfida di domani. Senza lavoro degno e ben remunerato i giovani non diventano veramente adulti, le diseguaglianze aumentano. A volte si può sopravvivere senza lavoro, ma non si vive bene. Perciò, mentre create beni e servizi, non dimenticatevi di creare lavoro, buon lavoro e lavoro per tutti.

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OTTOBRE

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

IN OCCASIONE DEL XXV° CONGRESSO MONDIALE DI

"STELLA MARIS" (APOSTOLATO DEL MARE)

[Glasgow, 2-5 ottobre 2022] 

(…)

In questa gioiosa occasione, mi unisco a voi e a tutte le persone collegate alla Stella Maris nel rendere grazie a Dio Onnipotente per la testimonianza di fede e gli innumerevoli atti di gentilezza e di carità dimostrati da tanti cappellani e volontari durante lo scorso secolo a quanti lavorano duramente sui nostri mari e le nostre acque navigabili a beneficio di tutti noi. Nel 1922 Papa Pio XI inviò i suoi oranti auguri per l’Apostolato appena fondato, fiducioso che avrebbe prodotto un abbondante raccolto di buoni frutti. Possiamo essere tutti grati che tali frutti siano stati abbondanti.

(...)

Il Creato, nostra casa comune, è costituito da una vasta distesa di acqua, che è essenziale per la vita e il commercio umano, per non parlare del turismo. Non deve dunque sorprendere che circa il novanta percento dei beni della Terra vengano trasportati via nave, cosa resa possibile grazie al lavoro quotidiano di oltre un milione e mezzo di persone, molte delle quali rimangono lontane per diversi mesi di seguito dal sostegno delle famiglie, come anche delle loro comunità sociali e religiose.

Come è ben noto, la pandemia ha aggravato le difficoltà collegate a tale isolamento e ha sottolineato l’importanza vitale del ministero svolto dalla Stella Maris. Vorrei qui ripetere le parole che ho rivolto direttamente a tutti gli uomini di mare sofferenti nel mio videomessaggio in occasione del vostro centenario: «Sappiate che non siete soli e non siete dimenticati. Il vostro lavoro in mare vi tiene spesso lontani, ma voi siete presenti nelle mie preghiere e nei miei pensieri, così come in quelli dei cappellani e dei volontari della “Stella Maris”». Intanto che il mondo poco a poco emerge dalla pandemia, questo Congresso vi offre l’opportunità di trarre ispirazione dalla vostra ricca storia, mentre esaminate insieme come potete continuare a essere utili a coloro la cui vita è sussistenza sono collegate ai nostri mari.

A tale riguardo, sappiamo tutti fin troppo bene che, malgrado i progressi nella tecnologia, molti lavoratori marittimi sono soggetti non soltanto alle suddette sfide collegate alla separazione dalla loro terra d’origine, ma continuano anche a subire una varietà di condizioni di lavoro ingiuste e altre privazioni, aggravate non ultimo dagli effetti del cambiamento climatico. Inoltre, i danni agli ambienti marini, come agli altri, colpiscono in modo sproporzionato i più poveri e vulnerabili tra i nostri fratelli e sorelle, i cui mezzi di sussistenza sono addirittura minacciati di estinzione (cfr. Laudato si’, nn. 48-52). Confido, dunque, che la Stella Maris non esiti mai ad attirare l’attenzione sulle questioni che privano molti membri della comunità marittima della loro dignità umana donata da Dio. In tal modo, l’Apostolato continuerà il suo nobile servizio di mettere in pratica le parole di Gesù “ero forestiero e mi avete ospitato” (Mt 25,35).

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DAL

DICASTERO DELLE CAUSE DEI SANTI

Sala Clementina

Giovedì, 6 ottobre 2022

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Sono lieto di incontrarvi al termine del Convegno su “La santità oggi”, organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi. Saluto e ringrazio il Cardinale Marcello Semeraro, gli altri Superiori, gli Officiali, i Postulatori e i collaboratori. Saluto tutti voi, provenienti da diverse parti del mondo, che avete partecipato a queste giornate di studio e di riflessione, favorite dall’apporto di validi relatori, esponenti del mondo teologico, scientifico, culturale e mediatico.

Il tema scelto per il Convegno è in sintonia con l’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate, che mira a «far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità» (n. 2). Tale chiamata è nel cuore del Concilio Vaticano II, che ha dedicato un intero capitolo della Lumen gentium alla vocazione universale alla santità e che afferma: «Tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste» (n. 11). Anche oggi è importante scoprire la santità nel popolo santo di Dio: nei genitori che crescono con amore i figli, negli uomini e nelle donne che svolgono con impegno il lavoro quotidiano, nelle persone che sopportano una condizione di infermità, negli anziani che continuano a sorridere e offrire saggezza. La testimonianza di una condotta cristiana virtuosa, vissuta nell’oggi da tanti discepoli del Signore, è per tutti noi un invito a rispondere personalmente alla chiamata ad essere santi. Sono dei santi “della porta accanto”, che tutti conosciamo (…)

La santità germoglia dalla vita concreta delle comunità cristiane. I Santi non provengono da un “mondo parallelo”; sono credenti che appartengono al popolo fedele di Dio e sono inseriti nella quotidianità fatta di famiglia, studio, lavoro, vita sociale, economica e politica. In tutti questi contesti, il Santo o la Santa cammina e opera senza timori o preclusioni, adempiendo in ogni circostanza la volontà di Dio. È importante che ogni Chiesa particolare sia attenta a cogliere e valorizzare gli esempi di vita cristiana maturati all’interno del popolo di Dio, che da sempre ha un particolare “fiuto” per riconoscere questi modelli di santità, testimoni straordinari del Vangelo. (…)

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA DELLA FONDAZIONE

"CENTESIMUS ANNUS PRO PONTIFICE"

Sala Clementina

Sabato, 8 ottobre 2022

 

(...)

Tutto nasce da come si guarda, e da dove si guarda. Guardare un altro dall’alto in basso, è lecito farlo soltanto in una situazione: per aiutarlo a sollevarsi. Non di più. Questo è l’unico momento lecito per guardare dall’alto in basso. Lo sguardo di Gesù sapeva vedere nella povera gente che metteva due spiccioli nella cassetta delle offerte al Tempio un gesto di dono totale (cfr Mc 12,41-44). Lo sguardo di Gesù partiva dalla misericordia e dalla compassione per i poveri e gli esclusi. Da dove parte il mio sguardo? Una domanda che ci aiuterà sempre.

La crescita inclusiva trova il suo punto di partenza in uno sguardo non ripiegato su di sé, libero dalla ricerca della massimizzazione del profitto. La povertà non si combatte con l’assistenzialismo, no, così la si “anestetizza” ma non la si combatte. Come già dicevo nella Laudato si’, «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte alle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro» (n. 128). La porta è il lavoro: la porta della dignità di un uomo è il lavoro.

Senza un impegno di tutti per far crescere politiche lavorative per i più fragili, si favorisce una cultura mondiale dello scarto. Ho provato a spiegare questa convinzione anche nel primo capitolo dell’Enciclica Fratelli tutti, dove, tra l’altro, si ricorda che «è aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così accade che nascono nuove povertà» (n. 21). Cresce la ricchezza e nascono nuove povertà.

(…)

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 

A UN GRUPPO DI IMPRENDITORI DALLA SPAGNA

Sala del Concistoro

Lunedì, 17 ottobre 2022

 

(…)

Il terzo pensiero che condivido con voi riguarda il lavoro e la povertà. Di questi ci ha dato un’importante testimonianza san Francesco d’Assisi, che non solo portò avanti il restauro della cappella di san Damiano, ma contribuì anche e soprattutto a restaurare la Chiesa del suo tempo. In concreto, lo fece con l’amore che provò per i poveri e con il suo modo austero di vivere. Con i valori del lavoro e la povertà, che implicano una fiducia completa in Dio e non nelle cose, si può creare un’economia che riconcili tra loro tutti i membri delle diverse fasi della produzione, senza che si disprezzino reciprocamente, senza che si creino maggiori ingiustizie o si viva una fredda indifferenza. D’altro canto, questo non vuol dire che si ami la miseria, che, al contrario, deve essere combattuta, e a tal fine voi avete i buoni strumenti, come la possibilità di creare posti di lavoro, e contribuire così a dare dignità al vostro prossimo. Poiché, per mezzo del lavoro, il Signore “solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero” (Sal  113, 7). Di modo che abbiamo qui un rimedio per combattere la malattia della miseria: il lavoro e l’amore per i poveri. Siate creativi nella pianificazione del lavoro, siate creativi e questo vi darà molta più forza.

(…)

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO DI UNIAPAC INTERNATIONAL

Aula Paolo VI

Venerdì, 21 ottobre 2022

 

(…)

In effetti, «siamo chiamati a dare priorità alla nostra risposta ai lavoratori che si trovano ai margini del mercato del lavoro, [...] i lavoratori poco qualificati, i lavoratori a giornata, quelli del settore informale, i lavoratori migranti e rifugiati, quanti svolgono quello che si è soliti denominare “il lavoro delle tre dimensioni”: pericoloso, sporco e degradante, e l’elenco potrebbe andare avanti». [3]

Accantoniamo anche l’idea che l’inclusione dei poveri e degli emarginati possa essere soddisfatta dai nostri sforzi per fornire assistenza finanziaria e materiale. Come è scritto nella Laudato si’, «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte alle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro» (n. 128). Difatti, la porta alla dignità di un uomo è il lavoro. Non basta portare il pane a casa, è necessario guadagnare il pane che io porto a casa.

Il lavoro dev’essere inteso e rispettato come un processo che va ben oltre lo scambio commerciale tra datore di lavoro e dipendente. Innanzitutto e soprattutto «parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale» ( ibid.). Il lavoro «è un’espressione del nostro essere creati a immagine e somiglianza di Dio, il lavoratore (cfr Gen 2,3). […] Siamo chiamati al lavoro fin dalla nostra creazione», [4]imitando Dio che è il primo lavoratore.

Tale lavoro dovrebbe essere ben integrato in una economia di cura. «La cura può essere intesa come prendersi cura delle persone e della natura, offrendo prodotti e servizi per la crescita del bene comune. Un’economia che ha cura del lavoro, creando opportunità di impiego che non sfruttano il lavoratore attraverso condizioni di lavoro degradanti e orari estenuanti». [5] Qui non ci riferiamo solo al lavoro legato all’assistenza. «La cura va oltre, deve essere una dimensione di ogni lavoro. Un lavoro che non si prende cura, che distrugge la creazione, che mette in pericolo la sopravvivenza delle generazioni future, non è rispettoso della dignità dei lavoratori e non si può considerare dignitoso. Al contrario, un lavoro che si prende cura contribuisce al ripristino della piena dignità umana, contribuirà ad assicurare un futuro sostenibile alle generazioni future. E in questa dimensione della cura rientrano, in primo luogo, i lavoratori». [6]

(…)

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NOVEMBRE

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO nel REGNO DEL BAHREIN

in occasione del "Bahrain Forum for Dialogue: East and West for Human Coexistence"

(3 - 6 NOVEMBRE 2022)

INCONTRO CON LE AUTORITÀ, CON LA SOCIETÀ CIVILE E CON IL CORPO DIPLOMATICO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Awali

Giovedì, 3 novembre 2022

 

(…)

Pensiamo invece all’albero della vita – il vostro simbolo – e negli aridi deserti della convivenza umana distribuiamo l’acqua della fraternità: non lasciamo evaporare la possibilità dell’incontro tra civiltà, religioni e culture, non permettiamo che secchino le radici dell’umano! Lavoriamo insieme, lavoriamo per l’insieme, per la speranza! Sono qui, nella terra dell’albero della vita, come seminatore di pace, per vivere giorni di incontro, per partecipare a un Forum di dialogo tra Oriente e Occidente per la pacifica convivenza umana. Ringrazio da ora i compagni di viaggio, in modo speciale i Rappresentanti religiosi. Questi giorni segnano una tappa preziosa nel percorso di amicizia intensificatosi negli ultimi anni con vari capi religiosi islamici: un cammino fraterno che, sotto lo sguardo del Cielo, vuole favorire la pace in Terra. (…)

Ritorniamo all’albero della vita. I molti rami di diverse dimensioni che lo caratterizzano col tempo hanno dato vita a folte chiome, accrescendone l’altezza e l’ampiezza. In questo Paese è stato proprio il contributo di tante persone di popoli differenti a consentire un notevole sviluppo produttivo. Ciò è stato reso possibile dall’immigrazione, di cui il Regno del Bahrein vanta uno dei tassi più elevati al mondo: circa la metà della popolazione residente è straniera e lavora in modo cospicuo per lo sviluppo di un Paese nel quale, pur avendo lasciato la propria patria, si sente a casa. Non si può però dimenticare che nei nostri tempi c’è ancora troppa mancanza di lavoro, e troppo lavoro disumanizzante: ciò non comporta solo gravi rischi di instabilità sociale, ma rappresenta un attentato alla dignità umana. Il lavoro, infatti, non è solo necessario per guadagnarsi da vivere, è un diritto indispensabile per sviluppare integralmente sé stessi e per plasmare una società a misura d’uomo.

Da questo Paese, attraente per le opportunità lavorative che offre, vorrei richiamare l’emergenza della crisi lavorativa mondiale: spesso il lavoro, prezioso come il pane, manca; sovente, è pane avvelenato, perché schiavizza. In entrambi i casi al centro non c’è più l’uomo, che da fine sacro e inviolabile del lavoro viene ridotto a mezzo per produrre denaro. Siano perciò ovunque garantite condizioni lavorative sicure e degne dell’uomo, che non impediscano, ma favoriscano la vita culturale e spirituale; che promuovano la coesione sociale, a vantaggio della vita comune e dello sviluppo stesso dei Paesi (cfr Gaudium et spes, 9.27.60.67).

Il Bahrein vanta preziose acquisizioni in tal senso: penso, ad esempio, alla prima scuola femminile sorta nel Golfo e all’abolizione della schiavitù. Sia faro nel promuovere in tutta l’area diritti e condizioni eque e sempre migliori per i lavoratori, le donne e i giovani, garantendo in pari tempo rispetto e attenzione per quanti si sentono più ai margini della società, come gli emigrati e i detenuti: lo sviluppo vero, umano, integrale si misura soprattutto dall’attenzione nei loro riguardi.

(…)

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE

DELL'UNIONE MONDIALE DEGLI INSEGNANTI CATTOLICI (UMEC-WUCT)

Sala del Concistoro

Sabato, 12 novembre 2022

 

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In ordine a questa missione educativa, voi dell’UMEC siete chiamati a sostenere insegnanti di ogni età, di ogni condizione lavorativa: sia quelli con una lunga esperienza – ricchi di soddisfazioni ma anche di fatiche –, sia le nuove generazioni, docenti animati da entusiasmo e voglia di fare, ma con le fragilità e le incertezze che spesso segnano i primi anni di insegnamento. Tutti questi insegnanti – se li guardiamo con ottica cristiana, di cui a volte loro stessi non sono pienamente consapevoli – sono in condizione di lasciare un segno, nel bene e nel male, nella vita di bambini, adolescenti e giovani, che sono loro affidati per lungo tempo. Quale responsabilità! E quale opportunità, per introdurli, con sapienza e rispetto, nei sentieri del mondo e della vita, accompagnando la loro mente ad aprirsi al vero, al bello, al bene. Sappiamo, per esperienza personale, come sia importante avere bravi insegnanti e saggi educatori negli anni della formazione!

Cari amici, nel vostro apostolato voi giustamente tenete conto del fatto che l’arte di educare va coltivata e accresciuta continuamente. Non è qualcosa che si è acquisito una volta per tutte. E se questo vale per diverse professioni, che richiedono aggiornamento, quella di insegnante ha una particolarità unica: perché non si lavora con oggetti, ma con soggetti! L’educazione ha a che fare con esseri umani, per di più nell’età evolutiva. Sono persone che cambiano da un anno all’altro, anzi, a volte da un mese all’altro. E poi i giovani di una generazione sono diversi da quelli della generazione successiva. Gli educatori, perciò, devono continuamente rinnovarsi nelle motivazioni e nelle modalità di lavoro. Non possono essere rigidi. La rigidità distrugge l’educazione. Nell’approccio ai diversi gruppi di alunni e di studenti, sono chiamati ogni anno a ripartire, a ritrovare la capacità di empatia e di comunicazione. Il vostro compito, in tal senso, è quello di aiutarli a tener vivo il desiderio di crescere insieme ai loro studenti, a trovare i modi più efficaci per trasmettere la gioia della conoscenza e il desiderio di verità, adottando linguaggi e forme culturali adatti ai giovani di oggi.

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ANGELUS

Piazza San Pietro

Domenica, 27 novembre 2022

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno, buona domenica!

Nel Vangelo della Liturgia odierna ascoltiamo una bella promessa che ci introduce nel Tempo di Avvento: «Il Signore vostro verrà» (Mt 24,42). Questo è il fondamento della nostra speranza, è ciò che ci sostiene anche nei momenti più difficili e dolorosi della nostra vita: Dio viene, Dio è vicino e viene. Non dimentichiamolo mai! Sempre il Signore viene, il Signore ci fa visita, il Signore si fa vicino, e ritornerà alla fine dei tempi per accoglierci nel suo abbraccio. Davanti a questa parola, ci chiediamo: come viene il Signore? E come riconoscerlo e accoglierlo? Soffermiamoci brevemente su questi due interrogativi.

La prima domanda: come viene il Signore? Tante volte abbiamo sentito dire che il Signore è presente nel nostro cammino, che ci accompagna e ci parla. Ma forse, distratti come siamo da tante cose, questa verità rimane per noi solo teorica; sì, sappiamo che il Signore viene ma non la viviamo questa verità oppure immaginiamo che il Signore venga in modo eclatante, magari attraverso qualche segno prodigioso. E invece Gesù dice che avverrà “come ai giorni di Noè” (cfr v. 37). E cosa facevano ai giorni di Noè? Semplicemente le cose normali e quotidiane della vita, come sempre: «mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito» (v. 38). Teniamo conto di questo: Dio è nascosto nella nostra vita, sempre c’è, è nascosto nelle situazioni più comuni e ordinarie della nostra vita. Non viene in eventi straordinari, ma nelle cose di ogni giorno, si manifesta nelle cose di ogni giorno. Lui è lì, nel nostro lavoro quotidiano, in un incontro casuale, nel volto di una persona che ha bisogno, anche quando affrontiamo giornate che appaiono grigie e monotone, proprio lì c’è il Signore, che ci chiama, ci parla e ispira le nostre azioni.

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DICEMBRE

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AL MOVIMENTO CRISTIANO LAVORATORI

Aula Paolo VI

Venerdì, 9 dicembre 2022

 

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Vorrei proporvi anche un impegno specifico sul tema del lavoro. Siete movimento di lavoratori, e potete contribuire a portare le loro preoccupazioni all’interno della comunità cristiana. È importante che i lavoratori siano di casa nelle parrocchie, nelle associazioni, nei gruppi e nei movimenti; che i loro problemi siano presi sul serio; che la loro richiesta di solidarietà possa essere ascoltata. Infatti, il lavoro attraversa una fase di trasformazione che va accompagnata. Le disuguaglianze sociali, le forme di schiavitù e di sfruttamento, le povertà familiari a causa della mancanza di lavoro o di un lavoro mal retribuito sono realtà che devono trovare ascolto nei nostri ambienti ecclesiali. Sono forme più o meno di sfruttamento: chiamiamo le cose per nome. Vi esorto a tenere mente e cuore aperti ai lavoratori, soprattutto se poveri e indifesi; a dare voce a chi non ha voce; a non preoccuparvi tanto dei vostri iscritti, ma di essere lievito nel tessuto sociale del Paese, lievito di giustizia e di solidarietà.

Dalla parabola evangelica degli operai chiamati alle diverse ore del giorno (cfr Mt 20,1-16) impariamo che ogni stagione della storia, come ogni ora della giornata, è tempo propizio per dare il proprio contributo e cercare di offrire una risposta. Nessuno deve sentirsi escluso dal lavoro. Non manchi il vostro impegno per promuovere il lavoro femminile, per favorire l’ingresso dei giovani nel lavoro, con contratti dignitosi e non da fame, per salvaguardare tempi e spazi di respiro per la famiglia, per il volontariato e per la cura delle relazioni. Per favore, respingete ogni forma di sfruttamento!

So che fate riferimento alla dottrina sociale della Chiesa: vi esorto a farlo ancora e, se possibile, sempre meglio. I principi di solidarietà e sussidiarietà, correttamente coniugati, sono alla base di una società che include, non scarta nessuno e favorisce la partecipazione. Senza la sussidiarietà non c’è vera solidarietà, perché si rischia di non dare voce alle capacità, ai talenti che fioriscono nei corpi intermedi. Le famiglie, le cooperative, le imprese, le associazioni sono il tessuto vivo della società. Dare loro spazio e voce significa liberare energie perché il bene comune sia frutto dell’impegno e della solidarietà tra tutti.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI VIGILI DEL FUOCO, CON I FAMILIARI

Aula Paolo VI

Sabato, 10 dicembre 2022

 

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Il vostro lavoro – in sinergia con le altre forze – è volto a garantire le condizioni di sicurezza e di tranquillità alla vita civile; e inoltre, come dicevamo, a intervenire quando si tratta di porre i cittadini al riparo da calamità o da pericoli. Il vostro senso di dedizione – e questo è decisivo, voi ne avete tanto! –, la prontezza, l’altruismo, l’audacia, la disponibilità al sacrificio fino a rischiare la propria vita – e questo è grande di voi – sono ben noti e la gente ne va giustamente fiera. In certe situazioni di grave pericolo, voi rischiate la vostra stessa incolumità. Pertanto, la vostra missione è una scelta personale e consapevole che si giustifica per il dovere di tutelare le persone e la comunità nel momento del bisogno.

Nella prospettiva cristiana, questo particolare lavoro che voi avete abbracciato trova riscontro nella parabola del buon Samaritano, il quale, incontrando per la strada un uomo derubato, ferito e abbandonato, se ne fece carico con grande compassione e generosità (cfr Lc 10,33-35). Questa parabola è «capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il Buon Samaritano» (Lett. enc. Fratelli tutti, 67). Quest’uomo dimostra carità e disponibilità assistendo il malcapitato nel momento del massimo bisogno. E questo quando tanti altri – per indifferenza o per durezza di cuore – hanno girato lo sguardo dall’altra parte. Il buon Samaritano insegna anche ad andare oltre l’emergenza, a predisporre, potremmo dire, le condizioni per un ritorno alla normalità. Egli, infatti, dopo aver prestato il primo soccorso, porta il ferito in un albergo e lo affida all’albergatore perché possa ristabilirsi.

Il protagonista di questa parabola ci manifesta la compassione e la tenerezza di Dio. Questo è lo stile di Dio: vicinanza con compassione e tenerezza. Così è il Signore: vicino, compassionevole e tenero. Ci dice che la fraternità è la risposta per costruire una società migliore, perché l’estraneo che incontro ferito lungo la strada è mio fratello. E voi, Vigili del Fuoco, rappresentate una delle espressioni più belle della lunga tradizione di solidarietà del popolo italiano, che affonda le radici nell’altruismo evangelico. Vi esorto a custodire questo patrimonio morale e civile, coltivandolo prima di tutto nel vostro stile di vita personale. In effetti, la vostra è una di quelle professioni che hanno il carattere di una missione: una missione di servizio alla gente nei momenti di bisogno, dalle piccole alle grandi emergenze che possono capitare; una missione di servizio alla dignità delle persone, che nella difficoltà non vanno mai abbandonate; una missione di servizio al bene comune della società che, specialmente nei momenti di crisi, come quello che stiamo vivendo, necessita di forze sane, affidabili, che lavorano con tenacia nel nascondimento.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

A DIRIGENTI E DELEGATI DELLA

CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL LAVORO (CGIL)

Aula Paolo VI

Lunedì, 19 dicembre 2022

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi do il benvenuto e ringrazio il Segretario Generale per le sue parole. Questo incontro con voi, che formate una delle storiche organizzazioni sindacali italiane, mi invita ad esprimere ancora una volta la mia vicinanza al mondo del lavoro, in particolare alle persone e alle famiglie che fanno più fatica.

Non c’è sindacato senza lavoratori e non ci sono lavoratori liberi senza sindacato. Viviamo un’epoca che, malgrado i progressi tecnologici – e a volte proprio a causa di quel sistema perverso che si definisce tecnocrazia (cfr Laudato si’, 106-114) – ha in parte deluso le aspettative di giustizia in ambito lavorativo. E questo chiede anzitutto di ripartire dal valore del lavoro, come luogo di incontro tra la vocazione personale e la dimensione sociale. Lavorare permette alla persona di realizzare sé stessa, di vivere la fraternità, di coltivare l’amicizia sociale e di migliorare il mondo. Le Encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti possono aiutare a intraprendere percorsi formativi che offrano motivi di impegno nel tempo che stiamo vivendo.

Il lavoro costruisce la società. Esso è un’esperienza primaria di cittadinanza, in cui trova forma una comunità di destino, frutto dell’impegno e dei talenti di ciascuno; tale comunità è molto di più della somma delle diverse professionalità, perché ognuno si riconosce nella relazione con gli altri e per gli altri. E così, nella trama ordinaria delle connessioni tra le persone e i progetti economici e politici, si dà vita giorno per giorno al tessuto della “democrazia”. È un tessuto che non si confeziona a tavolino in qualche palazzo, ma con operosità creativa nelle fabbriche, nelle officine, nelle aziende agricole, commerciali, artigianali, nei cantieri, nelle pubbliche amministrazioni, nelle scuole, negli uffici, e così via. Viene “dal basso”, dalla realtà.

Cari amici, se richiamo questa visione, è perché tra i compiti del sindacato c’è quello di educare al senso del lavoro, promuovendo una fraternità tra i lavoratori. Non può mancare questa preoccupazione formativa. Essa è il sale di un’economia sana, capace di rendere migliore il mondo. In effetti, «i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani. Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società» (Enc. Laudato si’, 128).

Accanto alla formazione, è sempre necessario segnalare le storture del lavoro. La cultura dello scarto si è insinuata nelle pieghe dei rapporti economici e ha invaso anche il mondo del lavoro. Lo si riscontra ad esempio là dove la dignità umana viene calpestata dalle discriminazioni di genere – perché una donna deve guadagnare meno di un uomo? Perché una donna, appena si vede che incomincia a “ingrassare”, la mandano via per non pagare la maternità? –; lo si vede nel precariato giovanile – perché si devono ritardare le scelte di vita a causa di una precarietà cronica? –; o ancora nella cultura dell’esubero; e perché i lavori più usuranti sono ancora così poco tutelati? Troppe persone soffrono per la mancanza di lavoro o per un lavoro non dignitoso: i loro volti meritano l’ascolto, meritano l’impegno sindacale.

Vorrei condividere con voi in modo particolare alcune preoccupazioni. In primo luogo, la sicurezza dei lavoratori. Il vostro Segretario generale ne ha parlato. Ci sono ancora troppi morti – li vedo sui giornali: tutti i giorni c’è qualcuno –, troppi mutilati e feriti nei luoghi di lavoro! Ogni morte sul lavoro è una sconfitta per l’intera società. Più che contarli al termine di ogni anno, dovremmo ricordare i loro nomi, perché sono persone e non numeri. Non permettiamo che si mettano sullo stesso piano il profitto e la persona! L’idolatria del denaro tende a calpestare tutto e tutti e non custodisce le differenze. Si tratta di formarsi ad avere a cuore la vita dei dipendenti e di educarsi a prendere sul serio le normative di sicurezza: solo una saggia alleanza può prevenire quegli “incidenti” che sono tragedie per le famiglie e le comunità.

Una seconda preoccupazione è lo sfruttamento delle persone, come se fossero macchine da prestazione. Ci sono forme violente, come il caporalato e la schiavitù dei braccianti in agricoltura o nei cantieri edili e in altri luoghi di lavoro, la costrizione a turni massacranti, il gioco al ribasso nei contratti, il disprezzo della maternità, il conflitto tra lavoro e famiglia. Quante contraddizioni e quante guerre tra poveri si consumano intorno al lavoro! Negli ultimi anni sono aumentati i cosiddetti “lavoratori poveri”: persone che, pur avendo un lavoro, non riescono a mantenere le loro famiglie e a dare speranza per il futuro. Il sindacato – ascoltate bene questo – è chiamato ad essere voce di chi non ha voce. Voi dovete fare rumore per dare voce a chi non ha voce. In particolare, vi raccomando l’attenzione per i giovani, spesso costretti a contratti precari, inadeguati, anche schiavizzanti. Vi ringrazio per ogni iniziativa che favorisce politiche attive del lavoro e tutela la dignità delle persone.

Inoltre, in questi anni di pandemia è cresciuto il numero di coloro che presentano le dimissioni dal lavoro. Giovani e meno giovani sono insoddisfatti della loro professione, del clima che si respira negli ambienti lavorativi, delle forme contrattuali, e preferiscono rassegnare le dimissioni. Si mettono in cerca di altre opportunità. Questo fenomeno non dice disimpegno, ma la necessità di umanizzare il lavoro. Anche in questo caso, il sindacato può fare opera di prevenzione, puntando alla qualità del lavoro e accompagnando le persone verso una ricollocazione più confacente al talento di ciascuno.

Cari amici, vi invito ad essere “sentinelle” del mondo del lavoro, generando alleanze e non contrapposizioni sterili. La gente ha sete di pace, soprattutto in questo momento storico, e il contributo di tutti è fondamentale. Educare alla pace anche nei luoghi di lavoro, spesso segnati da conflitti, può diventare segno di speranza per tutti. Anche per le future generazioni.

Grazie per quello che fate e che farete per i poveri, i migranti, le persone fragili e con disabilità, i disoccupati. Non tralasciate di prendervi cura anche di chi non si iscrive al sindacato perché ha perso la fiducia; e di fare spazio alla responsabilità giovanile.

Vi affido alla protezione di San Giuseppe, che ha conosciuto la bellezza e la fatica di fare bene il proprio mestiere e la soddisfazione di guadagnare il pane per la famiglia. Guardiamo a lui e alla sua capacità di educare attraverso il lavoro. Auguro un Natale sereno a tutti voi e ai vostri cari. Il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E se potete, pregate per me. Grazie!

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE DEGLI AUGURI NATALIZI

Aula della Benedizione

Giovedì, 22 dicembre 2022

 

Cari fratelli e care sorelle!

1. Il Signore ci dà ancora una volta la grazia di celebrare il mistero della sua nascita. Ogni anno, ai piedi del Bambino che giace nella mangiatoia (cfr Lc 2,12), veniamo messi nella condizione di guardare la nostra vita a partire da questa speciale luce. Non è la luce della gloria di questo mondo, ma «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). L’umiltà del figlio di Dio che viene nella nostra condizione umana è per noi scuola di adesione alla realtà. Così come Egli sceglie la povertà, che non è semplicemente assenza di beni, ma essenzialità, allo stesso modo ognuno di noi è chiamato a ritornare all’essenziale della propria vita, per buttare via tutto ciò che è superfluo e che può diventare impedimento nel cammino di santità. E questo cammino di santità non va negoziato.

2. È però importante avere chiaro che quando si esamina la propria esistenza o il tempo trascorso, bisogna sempre avere come punto di partenza la memoria del bene. Infatti, solo quando siamo consapevoli del bene che il Signore ci ha fatto siamo anche in grado di dare un nome al male che abbiamo vissuto o subito. Essere consapevoli della nostra povertà senza esserlo anche dell’amore di Dio ci schiaccerebbe. In questo senso l’atteggiamento interiore a cui dovremmo dare più importanza è la gratitudine.

Il Vangelo, per spiegarci in che cosa essa consiste, ci racconta la storia dei dieci lebbrosi che furono tutti sanati da Gesù; solo uno però torna indietro a ringraziare, un samaritano (cfr Lc 17,11-19). L’atto di ringraziare ottiene a quest’uomo, oltre alla guarigione fisica, la salvezza totale (cfr v. 19). L’incontro con il bene che Dio gli ha concesso non si ferma cioè alla superficie, ma tocca il cuore. È così: senza un costante esercizio di gratitudine finiremmo solo per fare l’elenco delle nostre cadute e oscureremmo ciò che più conta, cioè le grazie che il Signore ci concede ogni giorno.

3. Molte cose sono accadute in questo ultimo anno, e innanzitutto vogliamo dire grazie al Signore per tutti i benefici che ci ha concesso. Ma tra tutti questi benefici speriamo che ci sia anche la nostra conversione. Essa non è mai un discorso concluso. La cosa peggiore che possa accaderci è pensare di non avere più bisogno di conversione, a livello sia personale sia comunitario.

Convertirsi è imparare sempre di più a prendere sul serio il messaggio del Vangelo e tentare di metterlo in pratica nella nostra vita. Non è semplicemente prendere le distanze dal male, è mettere in pratica tutto il bene possibile: questo è convertirsi. Davanti al Vangelo rimaniamo sempre come dei bambini bisognosi di imparare. Presumere di avere imparato tutto ci fa cadere nella superbia spirituale.

Quest’anno sono ricorsi i sessant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II. Cos’è stato l’evento del Concilio se non una grande occasione di conversione per tutta la Chiesa? San Giovanni XXIII a questo proposito disse: «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». La conversione che il Concilio ci ha donato è stato il tentativo di comprendere meglio il Vangelo, di renderlo attuale, vivo, operante in questo momento storico.

Così, come più volte era già accaduto nella storia della Chiesa, anche nella nostra epoca come comunità di credenti ci siamo sentiti chiamati a conversione. E questo percorso è tutt’altro che concluso. L’attuale riflessione sulla sinodalità della Chiesa nasce proprio dalla convinzione che il percorso di comprensione del messaggio di Cristo non ha fine e ci provoca continuamente.

Il contrario della conversione è il fissismo, cioè la convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo. È l’errore di voler cristallizzare il messaggio di Gesù in un'unica forma valida sempre. La forma invece deve poter sempre cambiare affinché la sostanza rimanga sempre la stessa. L’eresia vera non consiste solo nel predicare un altro Vangelo (cfr Gal 1,9), come ci ricorda Paolo, ma anche nello smettere di tradurlo nei linguaggi e nei modi attuali, cosa che proprio l’Apostolo delle genti ha fatto. Conservare significa mantenere vivo e non imprigionare il messaggio di Cristo.

4. Il vero problema, però, che tante volte dimentichiamo, è che la conversione non solo ci fa accorgere del male per farci scegliere il bene, ma nello stesso tempo spinge il male ad evolversi, a diventare sempre più insidioso, a mascherarsi in maniera nuova affinché facciamo fatica a riconoscerlo. È una vera lotta. Il tentatore torna sempre, e torna travestito.

Gesù nel Vangelo usa un paragone che ci aiuta a comprendere quest’opera che è fatta di tempi e modi diversi: «Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino» (Lc 11,21-22). Il nostro primo grande problema è confidare troppo in noi stessi, nelle nostre strategie, nei nostri programmi. È lo spirito pelagiano di cui più volte ho parlato. Allora alcuni fallimenti sono una grazia, perché ci ricordano che non dobbiamo confidare in noi stessi, ma solo nel Signore. Alcune cadute, anche come Chiesa, sono un grande richiamo a rimettere Cristo al centro. Perché «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde» (Lc 11,23). È così semplice.

Cari fratelli e care sorelle, è troppo poco denunciare il male, anche quello che serpeggia in mezzo a noi. Ciò che si deve fare è decidere una conversione davanti ad esso. La semplice denuncia può darci l’illusione di aver risolto il problema, ma in realtà quello che conta è operare dei cambiamenti che ci mettano nella condizione di non lasciarci più imprigionare dalle logiche del male, che molto spesso sono logiche mondane. In questo senso, una delle virtù più utili da praticare è quella della vigilanza. Gesù descrive la necessità di questa attenzione su noi stessi e sulla Chiesa – la necessità della vigilanza – attraverso un esempio efficace: «Quando lo spirito impuro esce dall’uomo – dice Gesù –, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima» (Lc 11,24-26). La nostra prima conversione riporta un certo ordine: il male che abbiamo riconosciuto e tentato di estirpare dalla nostra vita, effettivamente si allontana da noi; ma è da ingenui pensare che rimanga lontano per lungo tempo. In realtà, dopo un po’ si ripresenta a noi sotto una nuova veste. Se prima appariva rozzo e violento, ora invece si comporta in maniera più elegante ed educata. Allora abbiamo ancora una volta bisogno di riconoscerlo e smascherarlo. Permettetemi l’espressione: sono i “demoni educati”: entrano con educazione, senza che io me ne accorga. Solo la pratica quotidiana dell’esame di coscienza può far sì che ce ne rendiamo conto. Per questo si vede l’importanza dell’esame di coscienza, per vigilare la casa.

Nel secolo XVII – per esempio – ci fu il famoso caso delle monache di Port Royal. Una delle loro abbadesse, Madre Angelica, era partita bene: aveva “carismaticamente” riformato sé stessa e il monastero, respingendo dalla clausura perfino i genitori. Era una donna piena di doti, nata per governare, ma poi diventò l’anima della resistenza giansenista, mostrando una chiusura intransigente persino davanti all’autorità ecclesiastica. Di lei e delle sue monache si diceva: "Pure come angeli, superbe come demoni". Avevano scacciato il demonio, ma poi era tornato sette volte più forte e, sotto la veste dell’austerità e del rigore, aveva portato rigidità e presunzione di essere migliori degli altri. Sempre torna: il demonio, cacciato via, torna; travestito, ma torna. Stiamo attenti!

5. Gesù, nel Vangelo, racconta molte parabole rivolte soprattutto a ben pensanti, a scribi e farisei, con l’intento di portare alla luce l’inganno di sentirsi giusti e disprezzare gli altri (cfr Lc 18,9). Ad esempio, nelle cosiddette parabole della misericordia (cfr Lc 15), Egli narra non solo le storie della pecorella smarrita o del figlio minore di quel povero padre, che si vede trattato da morto proprio da quest’ultimo, le quali ci ricordano che il primo modo di peccare è andarsene, perdersi, fare cose evidentemente sbagliate; ma in quelle parabole parla anche della dracma perduta e del figlio maggiore. Il paragone è efficace: ci si può perdere anche in casa, come nel caso della moneta di quella donna; e si può vivere infelici pur rimanendo formalmente nel recinto del proprio dovere, come accade al figlio maggiore del padre misericordioso. Se, per chi va via, è facile accorgersi della distanza, per chi rimane in casa è difficile rendersi conto di quanto si viva all’inferno, per la convinzione di essere solo vittime, trattati ingiustamente dall’autorità costituita e, in ultima analisi, da Dio stesso. E quante volte ci succede questo, qui, a casa!

Cari fratelli e care sorelle, a tutti noi sarà successo di perderci come quella pecorella o di allontanarci da Dio come il figlio minore. Sono peccati che ci hanno umiliato, e proprio per questo, per grazia di Dio, siamo riusciti ad affrontarli a viso scoperto. Ma la grande attenzione che dobbiamo prestare in questo momento della nostra esistenza è dovuta al fatto che formalmente la nostra vita attuale è in casa, tra le mura dell’istituzione, a servizio della Santa Sede, nel cuore stesso del corpo ecclesiale; e proprio per questo potremmo cadere nella tentazione di pensare di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire.

Noi siamo più in pericolo di tutti gli altri, perché siamo insidiati dal “demonio educato”, che non viene facendo rumore ma portando fiori. Scusatemi, fratelli e sorelle, se a volte dico cose che possono suonare dure e forti, non è perché non creda nel valore della dolcezza e della tenerezza, ma perché è bene riservare le carezze agli affaticati e agli oppressi, e trovare il coraggio di “affliggere i consolati”, come amava dire il servo di Dio don Tonino Bello, perché a volte la loro consolazione è solo l’inganno del demonio e non un dono dello Spirito.

6. Infine, un’ultima parola la vorrei riservare al tema della pace. Tra i titoli che il profeta Isaia attribuisce al Messia c’è quello di «Principe della pace» (9,5). Mai come in questo momento sentiamo un grande desiderio di pace. Penso alla martoriata Ucraina, ma anche a tanti conflitti che sono in atto in diverse parti del mondo. La guerra e la violenza sono sempre un fallimento. La religione non deve prestarsi ad alimentare conflitti. Il Vangelo è sempre Vangelo di pace, e in nome di nessun Dio si può dichiarare “santa” una guerra.

Dove regnano morte, divisione, conflitto, dolore innocente, lì noi possiamo solo riconoscere Gesù crocifisso. E in questo momento è proprio a chi più soffre che vorrei si rivolga il nostro pensiero. Ci vengono in aiuto le parole di Dietrich Bonhoeffer, che dal carcere dove era prigioniero scriveva: «Guardando la cosa da un punto di vista cristiano, non può essere un problema particolare trascorrere un Natale nella cella di una prigione. Molti, in questa casa, celebreranno probabilmente un Natale più ricco di significato e più autentico di quanto non avvenga dove di questa festa non si conserva che il nome. Un prigioniero capisce meglio di chiunque altro che miseria, sofferenza, povertà, solitudine, mancanza di aiuto e colpa hanno, agli occhi di Dio, un significato completamente diverso che nel giudizio degli uomini; che Dio volge lo sguardo proprio verso coloro da cui gli uomini sono soliti distoglierlo; che Cristo nacque in una stalla perché non aveva trovato posto nell’albergo; tutto questo per un prigioniero è veramente un lieto annunzio» (Resistenza e resa, Cinisello Balsamo - MI, Ed. Paoline, 1988, 324).

7. Cari fratelli e care sorelle, la cultura della pace non la si costruisce solo tra i popoli e tra le nazioni. Essa comincia nel cuore di ciascuno di noi. Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi. Nella Lettera agli Efesini leggiamo queste parole, che ritroviamo anche nella preghiera di Compieta: «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (4,31-32). Possiamo domandarci: quanta asprezza c’è nel nostro cuore? Che cos’è che la alimenta? Da cosa nasce lo sdegno che molto spesso crea distanze tra di noi e alimenta rabbia e risentimento? Perché la maldicenza in tutte le sue declinazioni diventa l’unico modo che abbiamo per parlare della realtà?

Se è vero che vogliamo che il clamore della guerra cessi lasciando posto alla pace, allora ognuno inizi da sé stesso. San Paolo ci dice chiaramente che la benevolenza, la misericordia e il perdono sono la medicina che abbiamo per costruire la pace.

La benevolenza è scegliere sempre la modalità del bene per rapportarci tra di noi. Non esiste solo la violenza delle armi, esiste la violenza verbale, la violenza psicologica, la violenza dell’abuso di potere, la violenza nascosta delle chiacchiere, che fanno tanto male e distruggono tanto. Davanti al Principe della Pace che viene nel mondo, deponiamo ogni arma di ogni genere. Ciascuno non approfitti della propria posizione e del proprio ruolo per mortificare l’altro.

La misericordia è accettare che l’altro possa avere anche i suoi limiti. Anche in questo caso è giusto ammettere che persone e istituzioni, proprio perché sono umane, sono anche limitate. Una Chiesa pura per i puri è solo la riproposizione dell’eresia catara. Se così non fosse, il Vangelo, e la Bibbia in generale, non ci avrebbero raccontato limiti e difetti di molti che oggi noi riconosciamo come santi.

Infine il perdono è concedere sempre un’altra possibilità, cioè capire che si diventa santi per tentativi. Dio fa così con ciascuno di noi, ci perdona sempre, ci rimette sempre in piedi e ci dona ancora un’altra possibilità. Tra di noi deve essere così. Fratelli e sorelle, Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi a stancarci di chiedere perdono.

Ogni guerra per essere estinta ha bisogno di perdono, altrimenti la giustizia diventa vendetta, e l’amore viene riconosciuto solo come una forma di debolezza.

Dio si è fatto bambino, e questo bambino, diventato grande, si è lasciato inchiodare sulla croce. Non c’è cosa più debole di un uomo crocifisso, eppure in quella debolezza si è manifestata l’onnipotenza di Dio. Nel perdono opera sempre l’onnipotenza di Dio. La gratitudine, la conversione e la pace siano allora i doni di questo Natale.

Auguro a tutti buon Natale! E ancora una volta vi chiedo di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie!

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SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

AI DIPENDENTI VATICANI

PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI

Aula Paolo VI

Giovedì, 22 dicembre 2022

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Grazie di essere venuti a questo appuntamento in cui ci scambiamo gli auguri per il santo Natale.

Prima di tutto dobbiamo ringraziare il Signore, perché, con il suo aiuto, abbiamo superato la fase critica della pandemia. Non dimentichiamo! Quando eravamo nella chiusura dicevamo: chissà come sarà quando saremo liberi di muoverci, di incontrarci, e così via. Poi, appena le cose cambiano, succede che perdiamo la memoria e andiamo avanti come se niente fosse stato. E magari nemmeno ringraziamo il Signore! Questo non è cristiano e non è neppure umano. No, vogliamo ringraziare perché abbiamo potuto riprendere a lavorare, e anche cercando di superare certi problemi più o meno grandi che si erano creati nel periodo più difficile. Riprendere è un lavoro che dobbiamo fare tutti.

Non dobbiamo dimenticare, perché il lungo periodo di pandemia ha lasciato dei segni. Non solo conseguenze materiali, economiche; ha lasciato anche segni nella vita delle persone, nelle relazioni, nella serenità delle famiglie. E per questo oggi io vi auguro soprattutto serenità: serenità per ciascuno di voi e per le vostre famiglie. Serenità non vuol dire che tutto va bene, che non ci sono problemi, difficoltà, no, non vuol dire questo. Ce lo dimostra la Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria. Possiamo immaginare, quando arrivarono a Betlemme, la Madonna cominciava a sentire i dolori, Giuseppe non sapeva dove andare, bussava a tante porte, ma non c’era posto… Eppure nel cuore di Maria e di Giuseppe c’era una serenità di fondo, che veniva da Dio, veniva dalla consapevolezza di essere nella sua volontà, di cercarla insieme, nella preghiera e nell’amore reciproco. Questo vi auguro: che ciascuno di voi abbia fede in Dio e che nelle famiglie ci sia la semplicità di affidarsi al suo aiuto, di pregarlo e di ringraziarlo.

Vorrei augurare serenità in particolare ai vostri figli, ai ragazzi e alle ragazze, perché loro hanno risentito molto della chiusura, hanno accumulato parecchie tensioni. È normale, è inevitabile. Però non bisogna fare finta di niente, bisogna riflettere, cercare di capire, perché uscire migliori dalla crisi non avviene per magia, bisogna lavorare su di sé, con calma, con pazienza. Anche i ragazzi possono farlo, naturalmente con l’aiuto dei genitori e a volte di altre persone, ma è importante che loro stessi siano consapevoli che le crisi sono passaggi di crescita e richiedono un lavoro su sé stessi.

Questo è il primo augurio che mi viene in mente, partendo dalla pandemia. Vi auguro serenità, nel cuore, nei rapporti familiari, nel lavoro. Serenità.

E il secondo è questo: che siamo testimoni e artigiani di pace. In questo momento della storia del mondo, siamo chiamati a sentire più forte la responsabilità di fare ciascuno la propria parte per costruire la pace. E questo ha un significato particolare per noi che viviamo e lavoriamo nella Città del Vaticano. Non perché questo piccolissimo Stato, il più piccolo del mondo, abbia un peso specifico speciale, non per questo; ma perché noi abbiamo come Capo e Maestro il Signore Gesù, il quale ci chiama ad unire il nostro umile impegno quotidiano alla sua opera di riconciliazione e di pace. A partire dall’ambiente in cui viviamo, dai rapporti con i nostri colleghi, da come affrontiamo le incomprensioni e i conflitti che possono nascere sul lavoro; oppure a casa, nell’ambito familiare; o anche con gli amici, o in parrocchia. È lì che noi possiamo essere concretamente testimoni e artigiani di pace.

Seminare pace. E come? Per esempio: evitando di parlare male degli altri “dietro le spalle”. Se noi facessimo questo soltanto, saremmo creatori di pace dappertutto! Se c’è qualcosa che non va, parliamone direttamente con la persona interessata, con rispetto, con franchezza. Siamo coraggiosi. Non facciamo finta di niente per poi sparlare di lui o di lei con altre persone. Cerchiamo di essere sinceri e onesti. Facciamo la prova e vediamo che questo andrà bene.

Care sorelle e cari fratelli, porgo i migliori auguri a voi e ai vostri cari. Salutate da parte mia i vostri bambini e i vostri anziani a casa. Loro sono il tesoro nella famiglia, il tesoro della società. E vi ringrazio: vi ringrazio per tutto quello che fate qui dentro, per il vostro lavoro e anche per la vostra pazienza, a volte, perché so che ci sono situazioni nelle quali voi esercitate la pazienza: grazie per questo. Tutti noi dobbiamo andare avanti con pazienza, con gioia, ringraziando il Signore che ci dà questa grazia del lavoro, ma custodire il lavoro e anche farlo con dignità. Grazie di questo, grazie per questo che voi fate qui dentro. Senza di voi, tutto questo non andrebbe avanti. Grazie davvero!

Vi benedico tutti di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me. E buon Natale a tutti!

 

 

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